C’è un momento in cui la politica dovrebbe smettere di guardare al tornaconto elettorale e iniziare a guardare negli occhi la sofferenza. Quel momento, per il Consiglio regionale d’Abruzzo, è arrivato – e purtroppo è stato sprecato.
Con un voto che sa più di chiusura ideologica che di reale confronto democratico, la Regione ha respinto la proposta di legge popolare sul fine vita promossa dall’Associazione Luca Coscioni, sostenuta da ben 8.119 firme di cittadini abruzzesi. Otto mila voci, non astratte o ideologiche, ma concrete e spesso provenienti da chi conosce il dolore non per sentito dire. Otto mila richieste inascoltate.
Quella proposta di legge, sostenuta dalla coalizione del Patto per l’Abruzzo, non chiedeva né forzature né scorciatoie. Al contrario, si basava su quanto già previsto dalla legge 219 del 2017 e dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. Chiedeva soltanto chiarezza: un protocollo operativo regionale per applicare diritti già riconosciuti. Il minimo, per una Regione che voglia dirsi civile.
La bocciatura non è solo un atto politico. È una ferita alla dignità. Perché mentre si discutono formalismi e si invocano presunti limiti di competenza, ci sono persone che soffrono, che chiedono – con coraggio e lucidità – di poter scegliere come e quando morire, quando la vita è ormai solo un’agonia priva di prospettive.
Come ha denunciato il consigliere Luciano D’Amico, oggi è tecnicamente legale rifiutare nutrizione e idratazione e morire lentamente, tra sofferenze atroci. È lecito spegnere la ventilazione e affrontare una morte per soffocamento. Ma non è ancora consentito – nonostante la Corte lo preveda – accedere a un suicidio assistito dignitoso, regolato, trasparente. Siamo in una terra dove si può soffrire fino alla morte, ma non scegliere di morire senza soffrire.
E allora bisogna dirlo chiaramente: quella del Consiglio regionale è una scelta di disumanità. Non una presa di posizione neutra, ma una negazione di diritti costituzionali, un atto che aggiunge solitudine alla sofferenza.
In un’Italia che fatica ancora a legiferare con coraggio su temi etici, sono le Regioni a dover fare da apripista. Alcune lo hanno fatto. L’Abruzzo, oggi, ha voltato le spalle alla propria responsabilità.
Ma non tutto è perduto. Quelle 8.119 firme restano lì, a ricordare che la battaglia per il diritto a una morte dignitosa non è finita. E che il rispetto della persona – nella vita come nella morte – non può essere oggetto di calcoli politici.
Elisabetta Di Carlo