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PHOTO-2025-10-09-19-39-59.jpgQuando la partecipazione diventa pretesto per dettare lezioni di democrazia.  C’è un curioso paradosso nelle parole di Raffaele Raiola, presidente dell’associazione Articolo 49 ETS – APS, che in queste ore ha diffuso una lunga e pomposa nota sugli avvenimenti legati alla Macroarea 2 di Teramo. Un testo che, tra richiami storici e autocelebrazioni, finisce per rivelare più di quanto vorrebbe: la distanza tra i proclami sulla “partecipazione apartitica” e la realtà di una gestione che di neutrale ha ben poco. Raiola, nel suo comunicato, che in ossequio allo spirito democratico...non invia a certastampa, ricostruisce la storia della democrazia partecipativa teramana dagli anni Novanta in poi, ricordando la nascita dei comitati di quartiere e l’impegno delle amministrazioni comunali, fino ad arrivare al regolamento voluto dall’amministrazione D’Alberto. Fin qui, nulla di male: la memoria storica è sempre utile. Ma è quando si arriva al presente che la retorica dell’apertura lascia spazio a una narrazione di segno opposto. Il presidente di Articolo 49 lamenta, con toni da moralista civico, l’ingerenza dei partiti nei processi partecipativi, accusando Fratelli d’Italia e Futuro In di voler “occupare posizioni” e di “imporre le regole” dentro i Collegi di Coordinamento. Parla di “partecipazione snaturata”, di “interessi di parte”, di “organi deliberanti usurpati”. Ma dimentica un dettaglio non irrilevante: la partecipazione non è monopolio di nessuno, nemmeno suo. Raiola sostiene che le Macroaree debbano essere “spazi dei cittadini, liberi dai partiti”. Eppure, pochi paragrafi dopo, rimprovera le stesse forze politiche di “disinteresse” e “scarsa partecipazione” nei quartieri dove “non ci hanno messo becco”. Insomma: se i partiti non partecipano, sono colpevoli di abbandono; se partecipano, sono colpevoli di invasione. Una logica a geometria variabile, dove la coerenza è optional e l’unica costante è il desiderio di pontificare. Inoltre, Raiola pare dimenticare che la democrazia partecipativa, per definizione, non può escludere la politica. La partecipazione civica non vive nel vuoto, né si alimenta di comitati chiusi e autoreferenziali. Se davvero si vuole una cittadinanza attiva, non si può pensare di costruirla contro i partiti — che, piaccia o no, restano strumenti essenziali della rappresentanza democratica, come recita proprio quell’articolo 49 della Costituzione che dà il nome alla sua associazione. È curioso, anzi quasi ironico, che a invocare l’articolo 49 sia proprio chi oggi sembra volerlo reinterpretare a proprio uso e consumo: un articolo che tutela la libertà di associarsi in partiti per concorrere alla vita politica del Paese, non per esserne esclusi. La verità è che la partecipazione non ha bisogno di tutori autoproclamati. Ha bisogno di regole semplici, di trasparenza e di rispetto reciproco. E se i cittadini scelgono di partecipare attraverso una sigla politica o civica, poco importa: l’importante è che partecipino davvero. Raiola farebbe bene a ricordarlo, prima di distribuire patenti di democrazia e impartire lezioni che odorano più di autocompiacimento che di partecipazione. L'architetto Raiola, in base al comunicato diffuso, verrà denunciato dal consigliere Luca Corona che a suo dire è pieno di bugie e di offese.

Elisabetta Di Carlo