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Che si aspetta? Nel Centrodestra, dico, che si aspetta? Se è vero come è vero (e fino a decreto contrario resta vero) che si vota il 10 febbraio, per l’indicazione del nome del candidato presidente non c’è più molto tempo. Anzi: considerando che tra un mese saremo in piena aria natalizia e che a gennaio si rischia la neve, forse non sarebbe male che i partiti della coalizione indicassero adesso, nel senso di subito, il nome dell’uomo che dovrà vedersela con Giovanni Legnini per il Centrosinistra (non potrà che essere lui), con Sara Marcozzi per i Cinque Stelle (già ufficializzata) e con Fabrizio Di Stefano per l’allegra brigata, civica nel nome ma partitica per discendenza, che raccoglie i liberali di Daniele Toto, i socialisti di Giorgio D’Ambrosio, gli abruzzocentristi di Gianni Di Pangrazio e l’Idv di Lelio De Santis, alla quale sembra adesso strizzare l’occhio anche Donato Di Matteo. Nell’accettare la candidatura, Di Stefano ha detto di voler «Gettare il cuore oltre l’ostacolo», ottenendo immediatamente due risultati: dimostrare una paurosa mancanza di fantasia e liberare il centrodestra abruzzese dall’imbarazzo di dovergli spiegare perché non l’avrebbe mai candidato come presidente. Prima di tornare al Centrodestra, che un candidato “ideale” ce l’ha e se avete letto il titolo saprete anche a chi ci riferiamo, facciamo un passo indietro, anzi: risaliamo di qualche riga per tornare al quel “non potrà che essere lui” con il quale abbiamo accompagnato il nome di Legnini. Perché, secondo noi, “non potrà che essere lui”? Perché il Centrosinistra abruzzese, sopravvissuto allo tsunami nazionale e forte di un’affermazione importante come quella di Teramo, deve avviare un processo di ricostruzione politico-identitaria. Un processo che dovrà, inevitabilmente, passare attraverso due momenti fondamentali: il superamento dei partiti, nel senso anche della scomparsa degli stemmi, come Legnini ha suggerito pur senza dirlo, nella sua per ora embrionale road map elettorale intuibile tra le pieghe calligrafiche dell’ormai famosa lettera al Messaggero; e l’individuazione di una personalità dal profilo “dominante” in quanto a carisma, in grado di spegnere anche le velleità marginali tanto dei delusi dell’era D’Alfonso, quanto degli autoconvinti salvatori della patria. Legnini non è solo il miglior candidato per il Centrosinistra, è in questa fase l’unico vero candidato possibile, l’unico al quale affidare, e che vinca o perda non fa differenza, la gettata delle fondamenta nuove del Csx abruzzese.
Detto questo, torniamo al Cdx.
Che vive diversi, ma identici (e non è un ossimoro) problemi di ridefinizione dei confini. Il feudo elettorale del Centrodestra abruzzese è un tino ribollente, ma non c’è alcun aspro odor dei vini che rallegra le anime, al contrario: c’è l’aspro odor dei personalismi che innervosisce gli elettori. Così, se Febbo mugugna, Sospiri brontola, Di Primio recrimina, Pagano traccheggia, Martino disorienta, Bellachioma salvineggia e Gatti, che come tutti sanno ha lasciato la politica attiva, rianima il multilevel lasciando intuire che, alla fine, se non troveranno un candidato… non potranno che scegliere l’uomo delle 10mila preferenze.
Teoria politicamente valida, quella di Gatti, ma il Fato ha voluto che, nel gioco delle rappresentanze della coalizione, ad indicare il candidato fosse l’unico partito del Centrodestra che di Gatti non vuol più sentir parlare, ovvero Fratelli d’Italia. Non è un mistero il fatto che Giorgia Meloni non viva slanci di entusiasmo nell’incontrare l’uomo al quale affidò il partito e una candidatura parlamentare, salvo poi doverselo riprendere qualche mese più tardi quando Gatti, che le urne non vollero portare a Roma, decise di tornarsene a Forza Italia. E anche l’effetto negativo della “gattianizzazione” elettorale delle ultime comunali, motivo della sconfitta al ballottaggio di Giandonato Morra, non contribuisce a migliorare i rapporti.
Purtroppo per Gatti, e per tutti quegli abruzzesi che avevano vissuto con sincera emozione la notizia che lo stesso Gatti avrebbe potuto, se chiamato alla candidatura per la presidenza regionale, rinunciare a quell’abbandono della politica che, come avrete notato, lo tiene lontanissimo dalle scene…il candidato sarà di Fratelli d’Italia.
E Fdi un candidato ce l’ha. Anzi: più d'uno, perché Giandonato Morra, che resta l'indiscutibile uomo simbolo di tutta una destra sana abruzzese, sarebbe il candidato ideale, ma sul quale peserebbe una certa idiosincrasia da parte di alcuni esponenti di altri partiti. Purtroppo.
Il candidato si chiama Marco Marsilio, ha 50 anni, è laureato in filosofia, è senatore della Repubblica e ha le due caratteristiche “non politiche” fondamentali per essere il candidato ideale del frastagliato/frazionato centodestra: è tanto abruzzese, di Tocco da Casauria per la precisione, da conoscere bene questa regione, ed è tanto politicamente “nuovo” da potersi candidare senza aver mai respirato l’aria di una coalizione che a livello locale soffre di multiformi eccessi di protagonismo, di maltrattenuti fenomeni di personalismo e di una certa vocazione all’autodistruzione. Come Legnini per il Csx, Marco Marsilio non è solo il miglior candidato possibile, ma è l’unico vero candidato possibile. Perché il Centrodestra abruzzese non può (e non vuole) correre il rischio di diventare la ribalta delle esternazioni di un Bellachioma in piena, né di continuare a soffrire il risiko dell rivendicazioni provinciali degli azzurri in cerca di collocazione e ruolo. L’unica soluzione è l’uomo nuovo, purché sia un “nuovo” che abbia il carisma per imporsi e che conosca i tempi e i modi della politica. Marco Marsilio è stato consigliere di circoscrizione, poi consigliere comunale a Roma per tre mandati, poi Deputato e ora Senatore.
Ed è anche simbolico il fatto che, in una Regione che ha perso il Presidente perché è diventato Senatore, un Senatore voglia candidarsi Presidente. Che si aspetta?