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CeraunavoltaHo appena visto l’ultimo Tarantino. E mi è piaciuto. Tanto. Mi dispiace, per tutti quelli che, rincorrendo un rigurgito di mitofagja, si sono uniti al coro di quelli che l’hanno criticato. Ho letto pretese di restituzione degli euro del biglietto, ma anche assurdi rimpianti per le (quasi) tre ore perdute. A me, è piaciuto. Tanto. Mi è piaciuto il citazionismo declinato in ogni frame, la pennellata sapiente di chi si è nutrito a pane e cinema, ma anche a latte e televisione, e non lascia al caso neanche la scelta dei colori delle auto parcheggiate nel cortile di un ristorante messicano. Certo, solo chi non ha vent’anni o trenta, ma ha speso bene i suoi almeno quarantacinque, avrà riconosciuto le sgommate di Kojak (Savalas citato non a caso), la Los Angeles vista in mille polizieschi e le esasperazione Anni ‘60 di una Hollywood che mercificó anche l’alternativa on tre road dei “figli dei fiori”, si veda l’eloquente l’insulto di DiCaprio all’hippy in macchina, quando lo chiama “Dennis Hopper”, che però va letto alla Tarantino, come tributo rispettoso. Ho goduto di certi scivolamenti nella letteratura dei fumetti (negli anni d’oro dei supereroi), gli stessi che affollano la roulotte/casa di un Brad Pitt risomatizzato in salsa western americana, fino a diventare di cuoio come il Redford del “Cavaliere elettrico”. Il finale poi, è il cinema che riscrive la vita e la migliora ... perché in fondo è questo che deve fare il cinema. Sharon Tate non muore, l’attore sfigato scopre di non esserlo poi tanto e l’amico di sempre, il protagonista non protagonista (non a caso è una controfigura) ridefinisce, andandosene con l’ambulanza,i contorni del più tradizionale degli happy ending hollywoodiani: l’amicizia e l’amore ti salvano la vita.
Un cenno agli attori. Non ho mai amato Brad Pitt e Leonardo Di Caprio (odio i belli e i predestinati), ma sotto le mani di Tarantino regalano una prova attoriale superba.

Il CRITICONE

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