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jokerfilmSarebbe stato impossibile andare a vedere Joker, senza aver ascoltato prima il collettivo peana dedicato a questo film. O l’inneggiare diffuso alle doti attoriali di Joaquin Phoenix. Bene, cominciamo da qui. Dal protagonista. Ne avevo già apprezzato i lampi di credibile follia, quando faceva l’imperatore che se la prendeva con Massimo Decimo Meridio sulla sabbia del Colosseo, per questo stavolta non mi ha stregato. È bravo, anzi: bravissimo, ma sul mio personalissimo taccuino dei “cattivi folli” nel cinema, questo Joker non sfiora la grandezza dell’Hannibal Lecter di Hopkins, né, nella graduatoria delle interpretazioni di ruoli costruiti sul quotidiano esistere di chi convive con un cervello in disordine, Phoenix mi ha convinto più di Penn, quando si faceva chiamare Sam. Fatte, ovviamente, le dovute distinzioni di storia e trama.
E adesso, il film.
È un capolavoro.
Non tanto per la storia, che è più che scontata e in gran parte più che nota, ma per la mano straordinaria del regista.
Todd Phillips, che nel mio vissuto cinematografico associo solo a Borat (del quale fu sceneggiatore), affresca il grande schermo con una maestria che tradisce non solo buone visioni, ma anche buone letture, specie tra gli albi di quella epopea del fumetto che ha regalato alla letteratura del Ventesimo secolo personaggi indimenticabili, come quel Bruce Wayne che qui troviamo ragazzino orfanizzato nella “rivolta dei clown”, ma che pochi anni dopo, con maschera e mantello, farà di Gotham il suo palcoscenico. Già, Gotham. La città vista in Joker non è la finzione filmica di Gotham, ma è davvero Gotham. Nelle cupe atmosfere, nel declinare dei grigi, nell’umido insistere della pioggia che accompagna le viventi allucinazioni di Arthur Fleck. Una città in negativo quasi, come lo sono le vite di tutti i suoi abitanti, colorati solo quando vestono una maschera da clown... per combattere una guerra seria. Quella rivolta del sottoproletariato urbano, contro i ricchi e i famosi, che è il tratto distintivo di tutte le storie di riscatto. Città trasfigurata, nella quale un sole ristoratorio e liberatorio appare solo quando muore la madre di Arthur. Lui la uccide ... ed è subito sole. Il sole della Rinascita. Della Rivoluzione. Della Rivalsa. Infine, del Riscatto. Emozionante il tributo che, quasi sottovoce, nel giocare con la pistola del Joker, il regista dedica a Taxi driver, evocando quello stesso De Niro che qui offre una prova di livello, con il suo conduttore da Late show. Si esce dalla sala con le orecchie piene del riedere alienato di Arthur, e con gli occhi vestiti a festa per aver avuto la fortuna di poter godere della scena della scalinata, che è anche metaforicamente la discesa nel nuovo essere... quello che calca il primo gradino è Arthur vestito a colori, quello che lascia la scalinata è Joker.

IL CRITICONE


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