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papidueHo visto “I due papi”. E non mi è piaciuto. O meglio: non mi è piaciuto quel sottofondo di spettacolarizzazione “torbidesca” che gli americani usano sempre quando si confrontano con un moloch come il Vaticano. È più forte di loro, quando si avvicinano al soglio pontificio, anche se cercano di restare in qualche modo fedeli alla realtà, s’intuisce sempre un rigurgito del Codice da Vinci. Non lo fanno apposta, è che quello che succede Oltretevere è più grande e più complicato della semplicità della loro Chiesa pragmatica. E poi si lasciano affascinare (troppo) dall’intreccio bimillenario di una vicenda, che era già antichissima quando dalle loro parti si invocava Manitoo fumando calumet. Figuriamoci poi stavolta, con un regista brasiliano e un autore neozelandese, che vogliono compiacere i produttori e il pubblico yankee. Operazione peraltro riuscitissima, vista la pioggia di nomination caduta sul film, tra Oscar, Golden Globe eccetera. Candidature, secondo me, del tutto immeritate, sia quella di Ratzinger Hopkins come non protagonista (l’ho enormemente più amato in Amistad, a parità di ruolo) sia quella di Bergoglio Pryce come protagonista (per me l’avrebbe meritato per il suggestivo don Chisciotte di Gilliam, ma quando c’è di mezzo l’Hidalgo non sono obiettivo). Tornando al film, è un’operina dignitosa, che risente della scrittura teatrale e che del teatro segue i ritmi, vestendo di realtà quello che di reale non c’è, ma senza il coraggio visionario e folle di “The New Pope” con un Malkovich in stato di grazia (artistica, non religiosa...), ma anche senza quella fedeltà al vissuto del meraviglioso “Caso Spotlight” (ma per i film - belli - sul giornalismo... vale quello che ho scritto sul Signore della Mancha). “I due Papi” non affonda, non graffia, accenna ai rapporti di Bergoglio con Videla, ma solo in un percorso di espiazione di Francesco, e quando affronta il tema dei silenzi di Benedetto XVI sulla pedofilia, addirittura “ovatta” l’audio e chiude la porta. Perché far sapere fa bene, ma non far sapere tutto è meglio. E poi fa mistero torbido. E arriva la nomination. Lo dice lo stesso Pryce Bergoglio: “La verità può essere vitale, ma senza l’amore è insostenibile”. E in questo film non ho visto né la verità (vera o verosimile), né l’amore per un’opera che, con un cast del genere, avrebbe potuto regalare altre emozioni. Certo, non aiuta la sceneggiatura, che costruisce il confronto “emotivo” col trono di Pietro, tra un tedesco vissuto tra i libri e un argentino vissuto tra la gente, relegandolo ad una questione da tifo calcistico. E se pensate che io stia esagerando, vi lancio una sfida. Riguardatevi “I due Papi”... anche se l’avete già visto. Riguardatelo. Memorizzatene i passaggi, il tessuto narrativo, la poetica del tratteggio filmico... poi, a seguire, guardatevi “Habemus Papam” di Nanni Moretti. E capirete che differenza c’è tra un film sul Vaticano e una americanata nella quale il Papa si fa un trancio di Pizza alla... diavola

IL CRITICONE