È stata una notte strana, la mia. Fatta di pensieri e bilanci. Sarà l’età. Ma neanche poi tanto, perché le mie sono da sempre nottate di poco sonno. E negli ultimi giorni ancora di più. Poi il caso, che sa essere bislacco, mi scolpisce un’emozione nuova. Già vissuta, ma nuova. Avevo già visto Skyfall e l’ho considerato, da subito, un capolavoro. Il più riuscito di tutta la storia dei film dedicati a James Bond. E per tutta la storia, intendo anche tutti quelli che verranno, perché questo non è un film su 007, ma un trattato sul senso del tempo, della vita e sulla più antica delle nostre paure, quella della morte. È dalla morte che torna 007 ed è alla morte che affida M, strappandosi dal cuore un inconfessabile cordone ombelicale. È la morte che invoca Bardem (superlativo per ruolo e interpretazione) puntando la pistola alla tempia (sua e di M) perché quel colpo, che non sparerà è uno iato tra passato e presente, tra quello che era e quello che sarebbe potuto diventare. In fondo, tra quello che siamo è quello che non saremo mai. Skyfall è un capolavoro di intrecci temporali, che vanno oltre il dipanarsi della vicenda filmica, spingendosi fino al sentire profondo dello spettatore. Costringendoci a fare i conti col nostro passato e con le nostalgie dell’età perduta. Il film è tutto un confondersi non confuso di confronti, a tratti impietosi e implacabili, tra il mondo nuovo del millennials e quello andato di noi, cinquantenni come Bond e come lui costretti a ragionare in digitale, pur sognando in analogico. Fino a prendere atto della verità più vera di tutte le possibili verità: il tempo non lo puoi fermare. Per fortuna. Nel meno “spionesco” dei film di 007, Bond (un Daniel Craig da applausi) è provato e quasi vinto da un nemico imbattibile: lo scorrere del tempo, che lo logora nel fisico e nell’anima, fino a costringerlo a guardare negli occhi i monumenti al dolore profondo, le lapidi dei suoi genitori e a tornare nella casa che lo vide passare da bambino felice ad orfano e da orfano a uomo. Un uomo che sbaglia, soffre, fatica, incassa e piange, senza lacrime ma piange. Perché in fondo con la vita possiamo e dobbiamo fare esattamente questo... viverla.
IL CRITICONE