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 TREP
Nella costante, troppo spesso infruttuosa ricerca di un film che riempia la mia serata da cinefilo, ieri sera, complice l’offerta di “novità” di Sky, mi sono avventurato tra i “Tre piani” del condominio cinematografato da Nanni Moretti. Sì, è vero: non amo Moretti. Ho cercato, negli anni, di vedere tutti i suoi film, ma quasi mai la visione ha compensato le aspettative. 

Stavolta, non avevo grandi aspettative, ma quelle pur minime - trattandosi comunque di un film d’autore - si sono sciolte fotogramma per fotogramma, tanto che per gran parte del film ho sperato che ci fosse una riunione, nel condominio, e che magari si insultassero, tanto per dare un po’ di vivacità al film. Invece, niente. Una lentezza esasperante, una debolezza narrativa che rasenta quella che ti aspetteresti solo in qualche film girato all’Est, ambientato in una di quelle periferie urbane degradate e solitarie, ingrigite dal post comunismo. 

Tra quelle dei vari protagonisti, merita l’onore del primo commento quella di Riccardo Scamarcio, solitamente espressivo quanto una pala lignea del Trecento con l’affresco stinto, ma in questa occasione vivace quanto una recita del rosario, che non riesce a dare il benché minimo spessore alla vicenda umana di un padre di famiglia che, in un pugno di ore, passa dalla paura per una violenza carnale subita dalla figlia di 7 anni, alla consumazione di un rapporto sessuale con la nipote minorenne del presunto violentatore, senza cambiare espressione, voce o cappotto. 

In un altro appartamento, la coppia Nanni Moretti - Margherita Buy, cerca di gestire un figlio che va in carcere dopo aver investito e ucciso una donna, mentre guidava ubriaco. All’uscita dal carcere, cercherà di venderci lo stereotipo del figlio vessato da piccolo, da un padre autoritario. Ma non funziona, così come non funziona una colonna sonora pallosissima, ma soprattutto non funzionano tutti i bambini del film, divisi tra femminucce che parlano come Sandra Milo e maschietti che sembrano robotizzati. 

Nel terzo appartamento, vive la coppia Adriano Giannini - Alba Rohrwacher, che - essendo esauriti i mariti traditori e i figli pirati della strada, affida la sua quota di tragedia familiare ad un fratello mago della finanza “creativa”, che si è rubato tutti i soldi che gli investitori gli avevano affidato. 

Nel film, non funziona niente. Ma proprio niente. Non c’è pathos, non c’è storia, non c’è trama, non c’è vita, non c’è verità. 

Moretti ci affida il film forse meno riuscito della sua carriera, che scivola anche su una scialbissima costruzione dei dialoghi, tanto da diventare prevedibile e scontato. 

Se mancava una palettata di angoscia, la porta l’agghiacciante passaggio del pulmino con l’orchestrina, con un codazzo di attempati ballerini, che forse tenta una soluzione felliniana, ma in realtà sembra un documentario su Raul Casadei girato da Pupi Avati. Fino aI titoli di coda, ho sperato che irrompesse l’amministratore, per annunciare un superbonus 110% e ristrutturare un film nato vecchio e devastato da una pochezza di trama e di ispirazione registica, ai limiti dell’imbarazzante.

IL CRITICONE

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