Non c’è ristorante, ormai, che non abbia in menù la cacio e pepe. È un must. Come la carbonara; non può mancare. Poi, che quasi nessuno sappia come si fa una cacio e pepe e come si celebra il culto antico della carbonara, è altra storia. L’importante è che ci siano, e che siano il più possibile abbondanti e cariche. Di ingredienti, non di gusto. Il gusto non conta, basta sbabbarozzare una piattata informe di pasta con formaggio e pepe, oppure offrire un qualcosa che sia giallo e col guanciale, e il gioco è fatto.
Tanto è moda, non cibo.
È un po’ come l’overdose di pistacchio, che te lo ritrovi dovunque. Quando ero piccolo io, al massimo potevi trovartelo in una coppetta di gelato a far compagnia al cioccolato, ed era verde, tanto verde. Adesso non è più verde e te lo ritrovi ovunque, specie quello di Bronte, che se fosse originale tutto quello che ti vendono come autentico, non basterebbero due sicilie per coltivarlo.
Vabbè, sto divagando: torno alla cacio e pepe, per raccontarvi una storia e parlarvi di un piatto che, credetemi, vale il viaggio.
Un piatto, nel quale il cacio e il pepe si fondono senza confondersi, in un abbraccio che poi cerca protezione in uno scrigno di pasta. E come se non bastasse, non paghi di aver già creato un matrimonio perfetto, decidono di andarsene al mare e qui, con una trovata che sa di genialità, si sdraiano su un letto di gambero rosso, bagnati da una leggera pioggerellina di lime.
Sono a Tortoreto, al ristorante Ostrea, e quello che scardina tutte le mie difese, è il “Tortello cacio e pepe con tartare di gambero rosso e lime”, ma il nome non rende giustizia a questo trionfo di sapori. Ci sono piatti, che non sono piatti, ma per qualche arcana alchimia, appartengono ad una dimensione diversa, altra, lontana e inarrivabile, sfiorando l’assoluto.
Non che il resto del menù sia da meno, anzi: in un ristorante che già nella preparazione del pane, servito caldo perché possa inebriarsi d’olio buono, nel più classico e antico degli aprì pasto italiani (oggi li chiamano amuse - bouche) nulla viene lasciato al caso. In cucina una squadra giovane che sa il fatto suo, in sala un servizio attento e cordiale, fanno di questo ristorante una tappa obbligatoria. Anzi: la doverosa meta di un un pellegrinaggio …
IL RE CENSORE