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povertaC’è chi è nato per dare fastidio a chi con costanza e coerenza riesce a mantenersi indifferente. C’è chi dice di aver vinto la povertà, chi si preoccupa del grande fratello, chi passa il tempo sognando l’Isola, e chi si ostina a far di tutto per dargli contro. Financo fino a morire di fame. Nell’Italia cristiana che aspetta il black friday. Nel giorno contro la povertà. Eddai è un provocatore. Andiamo oltre, pensiamo ai veri problemi: sarà stato vero amore tra Lele Mora e Fabrizio Corona o solo sesso ? E basta co’ sti poveri, ora è Natale non rompetemi i coglioni.
A proposito, so che non interessa ma ieri sera nei giardini malandati sotto casa mia è morto un uomo. È morto un uomo di 52 anni. È morto di disoccupazione e quindi sfratto, debiti, botte, freddo, fame. È morto di povertà, di solitudine, di paure e di sofferenza. È morto un uomo con un diploma che aveva iniziato a lavorare a 18 anni, poi è diventato inutile per la società ed è diventato un peso, un depresso che, da quel giorno in cui fu cacciato, nella sua vita deve aver portato su una schiena ricurva e dolente, un bagaglio di luci e bagliori, e di bui pesti dove brancolava danzando con la follia.
Nella capitale mondiale del cristianesimo, in un mondo falso pieno di “buoni”, tra Vescovi specialisti di cucina e mangiatoie, tra mille religioni, dame di carità tutte impellicciate, generosi puttanieri in giacca e cravatta, amanti dei cani, adoratori del cigno nero, difensori del gatto, protettori del pettirosso, tutori del pino marittimo da non confondersi con il pino silvestre per carità, vegani, vegetariani, yogisti, zumbisti, buddisti, un uomo è morto solo. È morto un uomo, solo, senza soldi, sfrattato dalla sua bella casa, che accompagnato mano nella mano dal razzismo e dall’indiffenza della gente è finito a dormire sulle panchine.
Del resto chi se ne frega. Parliamoci chiaro è Natale ora non rompetemi i coglioni. Non è che Gesù nasce nella mangiatoia del Centro commerciale per caso. E che vogliamo cambiare la storia ? Aspetto Natale da un anno ora mi dovete affliggere con questo morto ? Eddajee !! Diciamolo, per la città Stefano non era un uomo. Era pratica inevasa, una delle tante e delle migliaia e delle decine di migliaia che riempiono i cassetti di impiegati ed assessori. Un nome – cognome – data di nascita nella lista d’attesa delle case popolari, un utente X che chiede appuntamento ai servizi sociali. Relitti umani, Roma ne è piena, l’Italia ne è piena. Li notiamo solo raramente, uno su mille e comunque mentre affondano. E perché fermarsi a pensare, tanto stanno affondando. La storia di Stefano è una storia “normale”, non so neppure perché sto scrivendo. Forse perché è una storia che potrebbe toccare tutti noi. E tutti, dobbiamo sentirci un pò responsabili. Dico così perché io mi ci sento. Vecchio, sporco, depresso, senza una lira in tasca, solo. Quale altra fine avrebbe potuto fare. Che fine mai può fare uno che non conta niente e per nessuno. Una piccola pensione di invalidità, il “privilegio” d’un posto letto in un centro di accoglienza. Prendete nota, perché è ciò che vi sarebbe concesso nelle sue condizioni: un punteggio nella graduatoria case popolari, elevato ma praticamente inutile (perché case non se ne costruiscono da decenni), una promessa di contributo economico a sostegno dell’affitto (ma qual è il proprietario privato che affitterebbe casa a uno sfrattato povero?). Un contributo del resto mai arrivato. E poi basta, punto e cavatela da te, noi dobbiamo sconfiggere la povertà nel mondo. Alla vigilia del Natale la morte di Stefano è importante perché è esemplare. Abbiamo reso omaggio al milite ignoto. Oggi vi scrivo di un povero ignoto, che potrei essere io come chiunque altro. Morto perché povero, solo e malato.
È morto un uomo abbandonato a se stesso, un uomo che non contava niente. Senza possibilità di esistere e di far rumore. È morto un uomo che si faceva guardare, ma la gente non lo voleva vedere. Un uomo che non rientrava nelle nostre vite, nelle nostre famiglie apparentemente felici, un uomo fragile e debole, emarginato. Morto ancor prima che la lama fredda della morte sia l’unica sensazione di calore che gli attraversa la vita. Stefano non ha mai chiesto nessuna elemosina, nessun commento, nulla usciva dalla sua bocca sempre serrata come una maschera di dolore, muta nel modellarsi dei suoi sentimenti. Le imprecazioni, i commenti e i rifiuti per lui erano forse necessari per sentirsi sicuro, per potersi rifugiare nella ragione degli ebbri. Perché essere un “barbone” è l’accettazione e forse la speranza, di non essere riconosciuti, di passare inosservati, di mimetizzarsi tra le mille maschere della gente. Vivendo di fianco e mai con gli occhi che guardavano un orizzonte lontano. Non poteva rincorrerlo, ma sempre portato dentro la sua grande anima. E’ morto un uomo che trascinava lentamente la sua solitudine con ordinata intelligenza senza disturbare nessuno, con le sue poesie e i suoi occhi che quando ti guardavano, sentivi un brivido lungo la schiena e avevi solo la forza di voltare il viso. Per non voler trovare nulla di te stesso dentro le sue nocche gelate. Stefano ricorda quelle persone di cui narrano i vangeli, quelle che portano la croce conoscendo la buona novella, quelle persone di cui tutti raccontano ma pochi conoscono. Stefano non voleva che nessuno entrasse nel suo labirinto infinito costruito da chissà quali emozioni, quali malattie, quali sofferenze. I suoi occhi tracciati così nitidamente dalle sopracciglia scure ti guardavano e ti raccontavano il suo rumore silenzioso. Vorrei aver avuto un suo abbraccio. Lo scambio della pace che non conosce differenze, ma solo occasioni per appoggiare la tua testa accanto alla sua. E ti fa ritrovare finalmente vera. Stefano, ora, è libero di guardare le sue stelle. Quelle che ha scelto lui di fissare, seguendole nel loro ininterrotto cammino verso un’altra alba che lo bacerà come i bambini più innocenti, raccontandogli le favole che piacciono a lui. Anche lui ha avuto i suoi momenti di sofferenza e di pubblico massacro, ma nessuno gli ha dedicato mai la vita nel suo nome. Non faceva rumore Stefano, anche quando avrebbe dovuto urlare. Eppure nelle sue mani potremo ritrovare tutta l’essenza dell’umanità, quella di cui abbiamo bisogno. Un’emozione che ti fa conoscere un mondo diverso, privo di tutto e pieno di passioni. Di un profumo antico nelle pieghe della memoria. Stefano era musica. Era una musica mesta ma fiera che suona con una corda sola, capace di racchiudere tutte le armonie che ci aprono all’universo. Ora Stefano è riuscito a raddrizzare la sua schiena schiacciata dai venti del mondo. E forse, noi troveremo una fine e lui finalmente il suo inizio. È morto un uomo di 52 anni, non era nessuno, non aveva niente, non voleva niente. E’ morto un uomo simbolo di questo mondo che vive nascondendosi perché non sa più guardare un’aurora.

Leo Nodari

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