Sono un fregno. Tre telefonini presi. Tre paia di scarpe nuove anche se non della mia misura. Che poi fa che il piede si restringe sto bello attrezzato. Sono un fico. Giacca rossa sconto 30, camicia rosa a 7 euro, cravatta gialla stile Lapo, così mi sento Lapo pure io. Non potevo sentirmi infelice, dovevo partecipare, dovevo comprare tutti me l’hanno detto, in tutti i modi possibili. Non avevo scelta. Non volevo sentirmi di meno, non volevo restare in silenzio mente tutti parlavano dei loro acquisti. E non solevo che si potesse pensare che sono povero, che non posso. Allora ho comprato. Non avendo altra ragione per cui vivere, altro a cui pensare ho comprato.
Lo spicologo Barry Schwartz l'ha definito il paradosso della scelta. Troppe opzioni paralizzano il nostro senso critico, generano frustrazione da stress e inducono a scegliere la prima cosa che vediamo. Reso docili dagli acquisti al ribasso, che tolgono anche gli ultimi freni, chi non consuma, non è. Non solamente "non c'è". Per questa società non è. Lo sanno bene gli strateghi del marketing che, nelle grandi catene di vendita, fisiche e online, propongono una serie pressoché infinita di prodotti, orientando soggetti storditi sugli oggetti da loro prescelti. Ma Schwartz va oltre, Questo paradosso che regaliamo ai nostri giovani mette in scacco il principio fondante delle società occidentali: la libertà di scelta. Un bel problema, avendone fatto la pietra angolare della democrazia.
La libertà è un rischio. Ma è un rischio che sempre meno persone si sentono di dover correre, in società democratiche che non la prevedono più nei propri codici, se non in declinazioni retoriche. Così suona più che opportuno il richiamo a questo tema - che dà anche il titolo all'ottava edizione - da parte del Festival della Dottrina Sociale in corso di svolgimento a Verona.
Fino a ieri, il "troppo" era confinato nelle grandi città e in certe cattedrali del consumo. Ma poi è arrivato il black friday, una sorta di flusso finanziario indistinto, una rete di decine di milioni di prodotti offerti sulle piattaforme tecnologiche e nei negozi di prossimità, che ha "democratizzato" un'opulenza apparente collocandola a portata di mano (e di click). Ma con l'iperconsumo, cresce anche la frustrazione: meno libero, meno felici. Ecco il paradosso della scelta.
Più consumi, più ti senti insoddisfatto: premessa necessaria per ricominciare a consumare. Nessun moralismo, per carità. Ma la domanda resta. Dal paradosso della scelta, al paradosso del cuore insomma. Ma per arrivare al paradosso dell'umano il passo è breve. Un tempo la chiamavano alienazione, ed era pure una parola alla moda.
Papa Francesco ha mandato un video messaggio per il Festival della Dottrina sociale. Mentre anche dentro o a margine della Chiesa sembra chi non si accorga di quanto la logica immanente al black friday sia in contrasto non solo con i nostri valori, ma con l'intera tenuta di ciò che ancora vorremmo chiamare "il sociale". Il messaggio è forte.
L'antropologia di questo homo consumens è ancora compatibile con la libertà, il dono, l'apertura all'altro, l'autonomia, la scelta? Non si tratta di criticare moralisticamente il consumismo. Si tratta di coglierne fin da ora effetti che, mediati dalle tecnologie, stanno toccando la radice stessa di ciò che chiamiamo "libertà". Il rischio, spiega Papa Francesco, viene “dalla riduzione dell’uomo a mero consumatore”. Nasce da questa perversione del consumo l'idea che sono liberi sono quelli che hanno capacità di consumare. La libertà è dunque appannaggio della minoranza che detiene il potere economico e finanziario di consumare. Questa non è libertà, è schiavitù, un’esperienza quotidiana segnata “dalla rassegnazione, dalla sfiducia, dalla paura, dalla chiusura”. Un vero venerdì nero. Ma senza alcun sabato di resurrezione in vista.
LEO NODARI