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Funeralialessandrini29 gennaio 1979: 40 anni fa un commando di Prima Linea uccide a Milano il magistrato Emilio Alessandrini che si stava occupando di terrorismo, ma anche della Strage di Piazza Fontana e P2 . Cinque giorni prima le Brigate Rosse avevano trucidato l’operaio Guido Rossa uomo integerimmo e di grandissimo spessore, simbolo di quell’aristocrazia operaia. Questi episodi saranno ricordati venerdi 1 febbraio nel tribunale di Pescara in una importante giornata di studio con i magistrati (Alessandra Galli e Armando Spataro), i giornalisti (Benedetta Tobagi e Massimo Giannini) e tanti altri invitati dall’Associazione naz.le Magistrati e dal Premio Paolo Borsellino.
Un momento importante perché questi episodi obbligano ancora a riflettere, obbligano ad un viaggio nella memoria collettiva: l’inizio di una tragedia nazionale. Un dramma che pesa sulla biografia dell’Italia, un Paese – diceva Aldo Moro – “dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili». Guido Rossa ed Emilio Alessandrini: figure estremamente diverse, accomunate dallo stesso tragico destino di morte, che ci donano soprattutto un’impressione: l’impressione che le loro uccisioni abbiano costituito un punto di svolta nella vicenda nazionale della lotta al terrorismo. Un milione di persone (c’è che scrisse due) a Milano e a Genova fecero ali alle bare fecero capire subito che gli estremisti avevano perso. Avevano colpito e avevano perso. Da quel gennaio 1979 non ci fu più nessuno “equidistante” tra stato e brigatisti, non ci fu più nessuno “né con lo Stato ne con le BR”. Non ci fu più nessun dubbio. Nessun alibi. Due brave persone caddero e dal loro sangue nacquero tanti fiori. La nazione alzò la fronte e tanta gente si alzò in piedi per dire da che parte stava. Il terrorismo italiano perse quel giorno. La stessa cosa si ripete anni dopo, nel 1992 con Giovanni e Paolo dai cui corpi straziati dal tritolo mafioso sono sbocciati tanti fiori, tanti lenzuoli bianchi, tanti momenti di impegno politico forte, tante storie di resistenza civile, di lotta antimafia.
Le nubi su quegli anni non sono mai state rimosse. Ogni tanto riemergono. E la coltre di mistero e indecenza che avvolge la nostra storia si fa sempre più densa e asfissiante, al pari della sensazione che fino a quando non avremo recuperato almeno “un atomo di verità” (la citazione di Aldo Moro non è casuale) a proposito di quei giorni, non potremo lasciarci definitivamente alle spalle quella stagione di sangue, di orrore e di esaltazione collettiva che è la causa principale dello sconforto e del malessere odierno.
Quelli erano gli anni della solidarietà nazionale e del delitto Moro: anni difficili, maledetti, intrisi di sangue,  cosparsi di menzogna. Anni che il nostro Paese ha pagato a carissimo prezzo e continuerà a pagare fino a quando non saranno state rimosse le zone d’ombra e i punti oscuri. Non tanto sugli esecutori materiali dei vari delitti quanto sui mandanti e sul ruolo che esercitò lo Stato nei singoli episodi, che continuarono con le stragi e altro (Bologna, Valdisambro, Ustica, P2, Banda della Magliana) fino alla trattativa oramai dimostrata tra mafia e pezzi dello stato che sacrificarono Paolo Borsellino e i ragazzi della sua scorta.
E’ opportuno domandarsi se le Brigate Rosse - come le mafia - abbiano fatto comodo a qualcuno, se siano state utilizzate per destabilizzare il Paese , da chi, perché, e infine le Brigate Rosse annientate quando ormai non servivano più, e i suoi membri sapevano troppe cose, o se questi siano solo discorsi da complottisti. E lo stesso vale per Prima Linea e persino per i PAC di Battisti: chi c’era dietro? Quale disegno perseguivano? Come hanno potuto procurarsi così tante armi e soldi e spargere così tanto sangue innocente?
È un discorso che va al di là di Rossa e del giudice Alessandrini, il quale, in una Milano plumbea e ormai prossima a consegnarsi alla dissoluzione consumista, dopo aver vissuto il decennio delle passioni sfrenate e devastanti, caddero tanti altri uomini dello Stato sotto un carico d’odio e di ferocia omicida, trasformatasi, quarant’anni dopo, in una straziante analisi priva di troppi elementi, come se gli stessi artefici di quel bagno di sangue si stessero cominciando a chiedere se non siano per caso stati usati e poi scaricati da coloro che muovevano le fila di un gioco immensamente più grande del loro estremismo senza idealismo né disponibilità al sacrificio.
Quarant’anni dopo ancora si discute, ci si pone quesiti annosi, si annaspa alla ricerca di una verità che non è mai emersa. Il rischio è che presto scenda l’oblio e rimanga solo una nuova, dissennata forma di odio. Sarebbe questa la più atroce delle conclusioni: restare imprigionati in un decennio che non abbiamo ancora capito, e di cui oggi non abbiamo più neanche gli strumenti culturali per coglierne gli aspetti migliori.
La comprensione storica dell’attacco al cuore dello Stato, il crimine più traumatico della parabola italiana, non può dirsi compiuta benché 5 processi, un paio di Commissioni d’inchiesta parlamentari e una straripante letteratura abbiano illuminato le principali zone d’ombra.
Un’ultima domanda mi pongo e vorrò porre Venerdì nel mio intervento: come sarebbe uscito il paese dall’attacco del terrorismo più pericoloso d’Europa di quegli anni ’80 se i partiti politici del tempo avessero solo pensato a fare propaganda e seminare odio contro gli avversari ? Quella guerra sarebbe stata persa, e persa male. Ma i tanto dileggiati partiti della prima repubblica invece l’hanno vinta. Così come la classe politica del dopoguerra ha vinto la battaglia della ricostruzione e del benessere del Paese, anche con i ponti avveniristici e magari audaci, che altri però, nei decenni successivi, dovevano controllare e adeguare al cambiamento dei tempi.
Una certezza e una conclusione emerge: nessun Paese può sperare di andare avanti con l’odio, il rancore, il razzismo, l’esclusione del diverso, l’intolleranza. Nessun Paese può progredire senza credere nel progresso e nella necessaria unità della politica di fronte alle vere tragedie del paese. E nessun politico ha il diritto di strumentalizzare il dolore, l’emozione, la rabbia di chi ha perso ciò che aveva di più caro al mondo.
Perfino chi come me è fuori dai social si è trovato spesso invaso da vergognosi materiali di fake news e propaganda politica becera. In questo clima non andremo da nessuna parte, in questo clima gli atti di razzismo continueranno a moltiplicarsi, in questo clima i veri nemici – la corruzione, le mafie, le ingiustizie sociali – non saranno sconfitti e gli ultimi saranno sempre più ultimi e il Paese già malmesso affonderà. E quando lo si capirà potrebbe essere troppo tardi.

Leo Nodari

leonodari