Attenzione all'Abruzzo, dove si vota il prossimo 10 febbraio. E non è un caso che Matteo Salvini si sia installato qui invece di governare il Paese. Perché, dopo mesi di sondaggi, le elezioni sotto la neve in Abruzzo rappresentano il primo test vero – numeri reali e persone in carne ed ossa – dell'era sovranista. Dicevamo, attenzione all'Abruzzo, perché qualcosa sta accadendo. È già in atto una dinamica nuova registrata dai sondaggi che circolano tra i candidati, che raccontano di un centrosinistra "tornato in partita" e di un "allarme tra i Cinque stelle". E di Salvini, attento solo al risultato della Lega, e alla sua capacità di prosciugare il centrodestra, che alla vittoria o meno del candidato comune come lo sconosciuto Marzo Meloni. Il comizio della Meloni vera a Roseto ne è stata la pratica dimostrazione, solo pochi militanti e tanto gelo, non solo meteorologico. In parecchi hanno notato, in queste sue visite abruzzesi, una volta per la tribù degli Ostrogoti a volte per i Longobardi, e sempre con Talarico Bellabarba, che il leader della Lega a stento nomini “il romano”, come viene definito il candidato presidente dagli stessi leghisti pescaresi, e che di fronte a sale piene in cui ha pronunciato più la parola "francia" e "porti" che la parola Abruzzo. La dinamica nuova, detta in modo un po' brutale, è questa: il centrodestra, per come l'abbiamo conosciuto non negli ultimi vent'anni, ma fino al 4 marzo, non c'è più. C’è un gruppo di tre partiti che a Roma litigano su tutto Venezuela, Tap, Tav, conflitto di interessi,ritiro o no in afganista, testamento biologico, legalizzazione, autorizzazione a procedere, prescrizione, inceneritori, eco bonus, per non parlare del DDL Pilon in cui tra i senatori Marsilio e il senatore Salvini c’è uno scontro feroce a Roma . Cosa dirà l’Abruzzo su questo visto che Marsilio raccoglie le firme contro e Salvini che ha i voti è a favore le lo ha approvato al Governo. La verità dunque è che c'è la destra: il candidato Marco Marsilio, di Fratelli d'Italia, più romano che abruzzese, poco radicato sul territorio e sostenuto da una coalizione a trazione leghista (con grande malessere dentro Forza Italia, dove è in atto un disimpegno silenzioso). Lega che, in Abruzzo, è rappresentata sui territori dall'ala dura degli ex Msi-An dei bei tempi. E c'è, invece, una nuova coalizione di centrosinistra, larga, civica, in discontinuità col centrosinistra che ha governato finora in Abruzzo, attorno a Giovanni Legnini, ex sottosegretario all'Economia, ex vicepresidente del Csm, riformista mite. Una rivoluzione copernicana che parte dalla capacità di ascolto e non dall'esercizio del potere autoreferenziale. È un approccio non dissimile rispetto a quello di Sergio Chiamparino. Il quale, una settimana fa, ha annunciato per le prossime regionali in Piemonte "un cantiere civico" come baricentro della coalizione, che nascerà in una assemblea pubblica alla quale sono invitati tutti coloro che si riconoscono intorno al sì": "Se i partiti vogliono, si adeguino". Ecco. Proprio questo civismo, in Abruzzo come in Piemonte, e in Europa con Calenda, è la novità, ed è chiaro che la riuscita o meno dell'esperimento rappresenterà nel centro sinistra l'indicazione politica nazionale, per un partito che, da tempo, ha smarrito la sua vocazione maggioritaria e ne ha perseguita una minoritaria ma, che magari, può tornare ad essere l'artefice della costruzione di un campo più largo. C'è, nell'operazione, forse la prima presa d'atto di quel che è successo e, dopo mesi di politica degli struzzi, il primo recupero del principio di realtà e il tentativo di togliere la testa da sotto la sabbia: Legnini ha presentato la sua candidatura in un'assemblea con oltre 150 sindaci e amministratori, senza simboli di partito, bandiere o endorsement nazionali, senza ministri, senza sottosegretari, senza auto blu, senza convention montanare ideate da persone che dovrebbero fare un altro mestiere, senza gli eserciti di Mussolini che si spostano da una location all’altro per fare massa, e con una buona dose di umiltà rispetto all'arroganza innegabile del centrosinistra di questi anni, ponendosi non come il civilizzatore dei barbari che urla al pericolo, ma come colui che ha compreso le ragioni di chi ha affidato a loro le ragioni del cambiamento e ora è deluso. Un po' come dire: abbiamo capito la lezione.
“I was not afraid of the words of the violent, but of the silence of the honest” ... per bontà d’animo traduco per mister selfie con i soldi nostri: “non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”. Questo sosteneva Martin Luther King, con gran ragione. In questi tempi di odio, rancore, cattiveria, di politica livorosa fatta da beceri ignoranti e leader rozzi, perché tacciono gli onesti. Perché tacciono ieri come oggi?
La storia ci insegna che un manipolo di barbari, bande, tribù più che popoli, riuscirono a saccheggiare più parti del grande impero romano fino alla caduta della sua parte occidentale decretando la fine del mondo classico, fino alla conquista di Roma ad opera della tribù dei visigoti di Alarico mentre i romani erano a festeggiare all’Aventino e nelle terme di Decio. Perché i cittadini contro i Longobardi come contri i nazisti non mossero un dito? Per ignavia, per pura concentrazione sull’interesse personale. Vero. Tuttavia è altrettanto evidente come siano attive altre dinamiche che blindano il silenzio in modo più preoccupante e trasversale. E’ anche, e forse soprattutto, la sfiducia nel poter agire efficacemente per cambiare le cose a creare la crescente disaffezione nei confronti della politica . Cosa faranno oggi gli Abruzzesi ? Alzeranno la testa contro i barbari ?
Leo Nodari