Perché meravigliarsi di quelle piazza piene. Quando l’ignoranza individuale è straripante, il menefreghismo sociale stimolato, il civismo latitante, il disprezzo per il bene comune ampio, la disonestà sistematica, perché meravigliarsi ?
Perché meravigliarsi per quelle piazze. Giocoforza, se la spregevolezza individuale, l’inettitudine mentale e il dilettantismo professionale diventano marchi di fabbrica, meriti orgogliosamente esibiti, e spesso qualifiche di selezione servile, allora oltre ogni ragionevole dubbio lo sfacelo di una democrazia è servito e inevitabile. Si può solo scavare tra le macerie per salvare il salvabile.
La democrazia nasce dal basso; essa è il suo popolo. E lo stato di salute in cui versa è specularmente quello del corpo sociale che la caratterizza.
Perché meravigliarsi per quelle piazze. La democrazia prospera solo in virtù della qualità etiche dei propri cittadini, attraverso il loro impegno, per mezzo della loro partecipazione e grazie alle loro competenze. Curando il territorio, denunciando il malaffare, ogni abuso di potere che minaccia la qualità del bene pubblico, stigmatizzando la corruzione, la vigliaccheria morale e la delinquenza di chi con il proprio agire minaccia ciò che è pubblico e comune con sdegno verso ogni forma di civiltà e giustizia.
Perché meravigliarsi per quelle piazze. Se in Italia siamo ancora affetti da gattopardismo non è certo a causa dei personaggi da cabaret che scegliamo come governanti, spesso palesemente miserabili nel loro più volgare squallore sia umano che istituzionale, comunemente indaffarati in patetiche esibizioni di melodrammatica nullità oltraggiosamente definita “politica”.
La colpa essenzialmente è del popolo votante. I veri governanti siamo noi. Chi ci “rappresenta” istituzionalmente altro non è nella fattispecie che l’immagine di noi stessi, quella di cui ci vergogniamo, riflessa nello specchio delle nostre povertà: intellettuale e morale. I miserabili siamo noi e dalla nostra miseria tiriamo fuori il peggio che servilmente quanto spudoratamente accettiamo e alimentiamo.
Perché meravigliarsi per quelle piazze. Come pretendere che dal fango in cui siamo atavicamente impantanati sia possibile emergere miracolosamente candidi. Nel Paese in cui le colpe sono sempre altrui si continua ostinatamente a predicare dal pulpito delle vittime sperando in vane assoluzioni. Del resto è semplice: se non fossimo noi causa dei nostri stessi malanni, perché mai ci troveremmo lustro per lustro, quasi fosse una condanna, governati da una marmaglia indegna di pagliacci che inevitabilmente, a causa degli loro evidenti limiti, minano la stabilità della Repubblica.
Però una domanda si pone: perché meravigliarsi se non fai niente contro questa deriva pericolosa del Paese . Perché meravigliarsi se resti fermo e immobile: indifferente.
Non mi preoccupano i selfi, ne l’orda barbarica di ignoranti che sentono il sangue, ne le truppe del proconsole Marsilio con l’intellettuale Storace, il filosofo Larussa e la culona. Non mi preoccupano i quattro nostalgici di “quando c’era lui” che si assiepano addolorati in attesa che il faraone mascherato e pregiudicato torni in città. E neppure quelli che applaudono il Ministro del corridoio di neutrini tra il Cern e il Gran Sasso .
Certo non mi allarmano Portaiello e Quadrato che stanno ancora contando quanti partiti hanno cambiato. Facciano pure lo loro scorribande inutili a spese nostre. Conoscete uno, uno solo, che abbia cambiato voto dopo aver sentito uno di questi “signori”?
Ad allarmarmi invece, profondamente, è piuttosto il clima di indifferenza, egoismo, intolleranza, la ricerca del nuovo nemico contro cui sfogare i propri peggiori istinti e dirottare recriminazioni e frustrazioni, che tutto ciò ha alimentato e reso possibile. È la rimozione della memoria, del fascismo strisciante, di quel che noi stessi siamo stati.
Sono allarmato dai tanti “benpensanti” che non si alzano in piedi e non si ribellano. Dai tanti che si dicono preoccupati ma, per la propria terra, non hanno un gesto d’orgoglio, non danno un colpo di reni, per salvare la nostra Regione dalle orde barbariche.
Contro questo pericolo, contro questa deriva, contro la desertificazione delle coscienze e dello spirito critico, ritengo essere un imperativo morale e politico ineludibile reagire prima che sia troppo tardi.
Ci sono ancora alcuni giorni per fermare le truppe Longobarde e gli a ignoranti romani.
Ci sono ancora alcuni giorni per alzarsi in piedi e, a fronte alta, richiamare tutti noi a una rinnovata scelta di fondo: tra civiltà e inciviltà, tra egoismo e solidarismo, tra il distacco, rassegnato o opportunista, e l’impegno di chi crede nonostante tutto nella virtù della partecipazione.
Per ritrovare tutti insieme la voglia e la volontà di riprendere il cammino sui sentieri tracciati dalle donne e dagli uomini che non esitarono a schierarsi, in tempi lontani e pure tanto vicini ed attuali, per riconquistare la propria dignità di persone e di cittadini.
Leo Nodari