La domanda che mi faccio davanti al sepolcro vuoto è: che cosa dice oggi a me, un pò debilitato nelle forze, la Pasqua? E che cosa potrebbe dire anche a chi non condivide la mia fede e la mia speranza? Anzitutto la Pasqua mi dice che “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gioia futura”. Queste sofferenze sono in primo luogo quelle del Cristo nella sua Passione. Ma ci sono anche tutte le sofferenze personali o collettive che gravano sull’umanità, causate o dalla cecità della natura o dalla cattiveria o negligenza degli uomini. Alcune reazioni all’incendio di Notre-Dame, la guerra in Libia, la mamma che soffoca il figlio che piange, il politico pagato dalla mafia, la salute svenduta gli interessi di pochi, il razzismo senza più vergogna, soprattutto le parole di tante persone che incontro, mi danno la percezione di peso quotidiano, di una diffusa sensazione di fatica del vivere. È un atteggiamento che si traduce poi in un tirare avanti, un sopravvivere a se stessi piuttosto che affrontare la vita, pur a volte nei suoi risvolti di difficoltà, durezza, oscurità. . Penso soprattutto ai malati, a coloro che soffrono, a coloro che non sanno a chi comunicare la loro angoscia, ai poveri, ai disperati, ai giovani senza speranze, agli immigrati che cercano salvezza come il popolo di Mosè, a chi anela ad un futuro migliore, agli studenti che vorrebbero contare su ciò che sanno e non su chi conoscono, a chi cerca rifugio nelle droghe, a chi cerca protezione in una bottiglia, a chi anela giustizia, a chi ha paura di credere, ai lavoratori sfruttati da quelli che oggi saranno in Chiesa con il vestito nuovo. Penso insomma a tutti coloro che sentono nella carne e nello spirito lo stigma della debolezza e della fragilità umana: essi sono probabilmente la maggioranza degli uomini e delle donne di questo mondo. Celebrando questa Pasqua, mi pare dunque opportuno richiamare, prima a me stesso e poi a tutti i credenti, che davvero si può resistere “all’urto del tempo” sul nostro cammino.
Ripartire è possibile: non con uno sforzo titanico di chi in qualche modo non vuole rassegnarsi. Piuttosto, raccogliendo quella voglia di vivere che molto spesso è costretta alle corde. Raccogliendola e mettendola davanti all’annuncio pasquale: è una Presenza più forte della morte, ci accompagna e possiamo contare su di essa. Lo sappiamo bene: “l’urto del tempo” ha bisogno di questa Presenza per essere affrontato e, conseguentemente, per consentirci di vivere pienamente.
Vorrei che la Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello “star bene a costo di stare male” come principio assoluto. Vorrei che il saluto e il grido “Cristo è risorto” percorresse le corsie degli ospedali. Tutto questo richiede una grande tensione di speranza. Sperare così può essere difficile, ma non vedo altra via di uscita dai mali di questo mondo, a meno che non si voglia nascondere il volto nella sabbia e non voler vedere o pensare nulla. Più difficile è però per me esprimere che cosa può dire la Pasqua a chi non partecipa della mia fede ed è curvo sotto i pesi della vita. Vedo così che c’è dentro tutti noi qualcosa di quello che san Paolo chiama «speranza contro ogni speranza» (Lettera ai Romani, 4,18), cioè una volontà e un coraggio di andare avanti malgrado tutto, anche se non si è capito il senso di quanto è avvenuto.
È così che l’uomo sulla croce e la risurrezione entrano nell’esperienza quotidiana di tutti dando loro la possibilità di produrre ancora frutti abbondanti, a dispetto delle forze che vengono meno e della debolezza che li assale. La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte, può cambiare, può risorgere. Dunque c’è sempre speranza.. Buona Pasqua
Leo Nodari