Perché avvelenarci il fegato con queste storie vecchie di oltre venticinque anni, con tutti i problemi che abbiamo oggi? La risposta è semplice e agghiacciante: sono storie attuali, come tutti i ricatti che assicurano vita e carriera eterna tanto ai ricattatori quanto ai ricattati. Da quasi 30 anni uomini delle istituzioni, della politica, delle forze dell’ordine, dei servizi e degli apparati di sicurezza custodiscono gelosamente, anzi omertosamente, i segreti di trattative immonde, condotte con i boss mafiosi le cui mani grondavano del sangue appena versato da Giovanni Falcone, da Francesca Morvillo, da Paolo Borsellino, dagli uomini delle loro scorte, dai tanti cittadini innocenti falciati o deturpati dalle stragi di Palermo, Firenze, Milano e Roma. E su quei segreti e su quei silenzi hanno costruito carriere inossidabili, che durano tutt’oggi… Chi volesse capire perché in Italia tutto sembra cambiare – gattopardescamente – per non cambiare nulla provi a seguire con pazienza il filo di questo racconto. Se, alla fine, avrà saputo e capito qualcosa in più, questo libro avranno centrato il loro obiettivo: quello di mettere in fila i fatti per strappare qualche adepto al Ptt, il partito trasversale della trattativa.
Ci sono diversi modi per raccontare la trattativa Stato- mafia. Il primo è quello dei politici, dei grandi giornali e delle tv: la presunta trattativa, la supposta trattativa, la pretesa trattativa, la cosiddetta trattativa. Forse, magari, chissà.
Il secondo è quello che raccontano le sentenze e i protagonisti.
Il terzo è quello di raccontare la storia : ad esempio quella di Antonello Montante come farà questa sera Attilio Bolzoni alle ore 18 alla Feltrinelli di Pescara.
Antonello Montante lo conosciamo tutti: sempre elegante, sempre pettinato, profumato, scarpe alla moda, amico di Vescovi e Cardinali, di poliziotti e dirigenti. Razzista al punto giusto. Cinta Armani by Marrakech. Macchina pulita. La camicia sempre bianca candida. Amici fregni, Montante come lui. Giudici, avvocati, belle troie quasi tutte di plastica. Il disprezzo non li sfiora. Nascosti nelle pieghe del sistema li conosciamo tutti i Montante delle piccole città.
Chi voleva controllare e governare istituzionalmente l’antimafia e il suo contrario del resto non poteva certo scegliere la Corleone dei Totò Riina e dei Bernardo Provenzano, la Castelvetrano di Matteo Messina Denaro, le violente terre agrigentine o i misteriosi gironi trapanesi. Serviva un luogo più discreto, docile, un laboratorio appartato, “ammucciato”. Nascosto. Mafia e politica. Mafia e apparati dello Stato. Mafia ed economia. Mafia e banche. E poi, con nomi e cognomi, magistrati, imprenditori, giornalisti. Tutti coinvolti nel sistema. Nella più grande scalata di uomini di Cosa Nostra e loro amici ai vertici dello Stato. Partendo dall'Abruzzo: Imprese tutte “pulitissime” e con la fedina esente da macchie, tutte che si sono spolpate l’osso, appalti su appalti in “emergenza” divorati da un sistema che già operava per grandi eventi in ogni parte d’Italia. Tutti incensurati, tutti profumati e pettinati. Si comincerà da qui, dalla ricostruzione dell’Aquila dopo il terremoto, per raccontare "Il Padrino dell'Antimafia" e i sistemi criminali o paracriminali che nel nostro Paese non si servono più direttamente delle vecchie mafie. In tutta la sua ambiguità, vicina e lontana, visibile per posizione ma dimessa per natura, sonnolenta e mai irrequieta, i piccoli centri sono il “posto” ideale per imporre un nuovo ordine con un obiettivo duplice: mantenere i legami indicibili di sempre e spegnere ogni dissenso, garantire un nuovo asse o nel segno della tradizione e insieme della modernità, sostenere l’illegalità nel nome della legalità, cancellare quello che potremmo definire “il pluralismo dell’antimafia” instaurando una “dittatura antimafiosa” dove non avrebbero mai dovuto trovare spazio idee o pulsioni, scarti di percorso, digressioni. Controllo. Sorveglianza. Obbedienza. Dominio. Tutto all’apparenza parte da lì e tu o lì si materializza con la complicità dei vertici istituzionali, locali e nazionali. Favoreggiamenti che si alimentano uno con l’altro, che s’inseguono, irrobustiti anno dopo anno con le solenni relazioni giudiziarie e con le reboanti dichiarazioni ministeriali. Tutto è aulico, contrastato. Il Padrino dell’antimafia Garante sul territorio di questa grande concertazione “politico-culturale” alla quale ancora fatichiamo a dare un nome è, vera ironia della sorte o perversione estrema, il camaleontico Calogero Antonio Montante detto Antonello, un personaggio dai trascorsi quanto meno foschi conosciuti pure dai sassi in città ma volutamente ignorati dalle cariche più alte della magistratura, dagli apparati di Stato, dalla politica, dalla cosiddetta società civile. Alla fine Montante paga per la sua tracotanza, per i suoi “effetti speciali”, per le manifestazioni più odiose e carognesche che hanno contraddistinto la sua discesa in campo e il suo non breve regno: il delirio di onnipotenza, le millanterie, l’eccitazione del potere. È un silenzio che protegge il passato e soprattutto il futuro.
Leo Nodari