Ventisette anni fa la strage di Capaci . Nell'attentato persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Dopo pochi giorni fu la volta del morto che cammina, Paolo Borsellino.
Grazie all’indifferenza dei più la mafia uccideva. Faceva stragi. E in pochi alzavano la testa per combatterla. Eppure li isolarono e li avversarono. Li etichettarono per condannarli. Li hanno odiati in vita, e combattuti e attaccati. Li hanno chiamati “superman”, “guitti”. Perché mai oggi dovrebbero sostenere una iniziativa per ricordarli. Perché mai i loro compari di oggi dovrebbero venire in piazza. Perché mai questi signorotti corrotti, i mafiosi di oggi, quelli che non sanno, non vedo, non parlano, dovrebbero essere presenti in piazza ad onorare i servitori dello Stato. Sanno bene cosa pensavano Falcone e Borsellino di loro che vivono nei palazzacci, perché mai deporre un fiore sull’auto simbolo dell’antimafia, sulla bara viaggiante di tre semplici sbirri. Loro che vivono nella palude, che si girano sempre dall’altra parte. Striscianti come bisce, paurosi, brutti, con lo sguardo torvo, loro che vivono in ginocchio, servi smidollati, con le loro maldicenze i loro “se” e i loro “ma”, loro dirigenti senza autorità di cui ridono tutti, loro impiegatucci con il pc dal tavolo polveroso che pulirlo “non è mio compito”, servette del potere corrotto, pronti a scattare solo per 10 euro in più, loro che prendono coraggio solo dalla bottiglia, dalla polverina bianca o dalla pasticca, loro con il sorriso spento e la vita grigia, loro incapaci di giudizio, loro che ti odiano, ti vedono, ti abbracciano e ti odiano di più. Loro, le merde, che davvero non saprei come altro chiamarli, perché mai dovrebbero essere presenti davanti ad un monumento che ricorda dei giganti che seppero erigersi senza paura contro il male assoluto, che seppero sfidare la morte perché erano vivi.
Loro, gli inutili, che altrimenti non saprei come definirli, che ieri gli hanno sbarrato la strada ogni volta che hanno potuto, e li hanno massacrati, giustamente oggi girano a largo dalla manifestazioni contro la mafia, perché in fondo, ma non tanto in fondo, sono contro di loro. In fondo la “Quarto Savona 15” la bara, la memoria, il simbolo, è contro gli indifferenti che sopravvivono solo pensando a loro. E fanno bene a non venire.
Quelli che li hanno crocifissi e li hanno maledetti perché erano uomini liberi e coraggiosi perché mai dovrebbero interrompere a Teramo l'ipocrita piagnisteo che dura da 27 anni, di chi li odiò in vita in modo tanto rumoroso, frastornante, strepitante. Fanno bene a non venire. Anzi, vi prego, non venite .
Ma, se c’è una certezza nell’ambito della storia recente è che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rappresentano la linea di confine tra chi sta con loro e onora la loro memoria, e la palude. Una linea tracciata col sangue versato dopo una battaglia condotta fino al sacrificio della propria vita, per il bene comune. C’è una certezza, Falcone e Borsellino, sono due eroi racchiusi in un solo nome. Amici nella battaglia, nelle delusioni e nelle vittorie esaltanti, uniti nel sacrificio finale. C’è da commuoversi ancora, ricordando Paolo Borsellino che rifiuta la via di fuga perchè «Lo devo a Giovanni e a tutti quei cittadini che credono in noi».
Perché mai la palude, quelli dell’ottusa difesa del «quieto vivere» dovrebbero essere presenti. La palude sta sempre immobile e osserva. Critica ma non muove un dito. A dargli vita è solo la polverina, una bottiglia, una pasticca. Per il resto è solo palude.
Ma c’è una certezza e a costoro dico che non si può, non si potrà mai, silenziare la storia. Ci sarà sempre qualcuno oltre questi cialtroni, tossici del male, la cui assenza non sarà notata da nessuno perché sono niente. Ci sarà sempre qualcuno con la capacità di non fermarsi davanti agli ostacoli. Ci sarà sempre qualcuno che ricorderà Falcone e Borsellino, Morvillo e Montinaro, Dicillo e Schifani. Mentre di voi resterà solo mio il disprezzo. Che vi confermo
Leo Nodari