La pastorizia, ovvero l’arte di allevare e utilizzare gli animali domestici, specialmente gli ovini, costituisce quasi sicuramente l’attività lavorativa più antica dell’uomo (9.000 a.C.). Una pratica che in alcune realtà è arrivata sino ai giorni nostri quasi praticamente immutata . Se inizialmente l’uomo primitivo delle Steppe dell’Asia centrale, il primo pastore, si muoveva accompagnato da grandi greggi, le prime forme di allevamento stanziale ebbero origine certa già nel Neolitico.
Il prossimo fine settimana, il 13 e 14 luglio a Piano Roseto, si svolgerà la 160° edizione della “Fiera della Pastorizia”, l’appuntamento clou per il mondo degli allevatori teramani ed abruzzesi, occasione di raccolta delle greggi e momento di riflessione sulle problematiche dell’allevamento ovino e caprino e delle attività di produzione e commercializzazione dei relativi prodotti. Alcuni organi di informazione ci dicono che la Regione Abruzzo, che ha disertato tutti gli incontri di preparazione all’evento, ad oggi, non ha ancora assicurato il proprio impegno finanziario. C’è di peggio. La vera notizia, però, è che saranno pastori e allevatori a non partecipare .Stufi, demoralizzati e sempre più demotivati dai grandi problemi che attanagliano il settore degli allevamenti zootecnici in Abruzzo e dall’immobilismo delle istituzioni e di quanti dovrebbero essere al fianco degli allevatori. Oramai, tenere in vita un allevamento produttivo in Abruzzo è una impresa al limite dell’impossibile. I “nemici” sono tanti: dalla burocrazia, che ha reso sempre più difficile svolgere questo mestiere antico e pieno di tradizioni, passando per gli alti costi di gestione che fanno il paio con guadagni sempre più bassi, fino alla concorrenza sleale dei grandi gruppi del nord Italia che scendono in Abruzzo e affittano, a prezzi improponibili, i terreni con il solo e unico scopo di incassare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea per la nostra regione e gli allevatori abruzzesi - “la mafia dei pascoli”troppo spesso taciuta per complicità e invece pericolosissima perché spesso in mano alla camorra e a famiglie legate alla ndrangheta che ha partendo dal commercio di droghe ha stretto legami con la mafia albanese -senza alcun controllo da parte delle autorità competenti, a volta colluse e corrotte. E, in alcuni casi, senza nemmeno svolgere le operazioni per le quali chiedono poi questi fondi. Leggi “cervellotiche”, divieti improponibili,scadenze assurde e multe salatissime. Macchine amministrative lente, l’immobilismo della Regione Abruzzo pagamenti dei “contributi Pac” con ritardi incalcolabili, che mettono in ginocchio un piccolo allevatore ed il suo mondo.
Se a ciò si aggiunge il rincaro delle materie prime, che un litro di latte viene pagato meno dell’acqua minerale , che la Regione non si sobbarca più i costi di irrigazione, i sostegni comunitari arrivano troppo tardi, che i prezzi di vendita al dettaglio di carni, formaggi e animali vivi sono fermi a circa venti anni fa e che, sempre più spesso, i grandi gruppi di acquisto e distribuzione impongono agli allevatori teramani ed abruzzesi dei prezzi d’acquisto così bassi da non coprire nemmeno i costi, il quadro èancora più chiaro.
Eppure ancora oggi c’è un legame primordiale che spinge l’uomo a prendere una zappa in mano e chinarsi ancora sulla terra. Perché altrimenti, vista la situazione, forse non varrebbe proprio la pena di spendere tanto sudore su un’attività così ingrata sotto il profilo economico. Dall’agricoltura non ci si arricchisce, al limite si sopravvive. Così ultimamente, sta diventando difficile anche tirare avanti. Oltre ai capricci della natura, che ai contadini tira spesso brutti scherzi, adesso si aggiungono anche le leggi di mercato, l’aumento dei costi di produzione e la diminuzione dei prezzi di vendita. Un cappio che si stringe sempre di più e lascia poco respiro.
Eppure il dato singolare è che i giovani stanno tornando all’agricoltura: ultimamente il ricambio generazionale è sensibile, e molti giovani scommettono sull’agricoltura. Secondo Coldiretti questo è un fenomeno evidentissimo: il settore agricolo sta diventando uno dei maggiori sbocchi dei giovani. Chi ha meno di 40 anni spesso si china sulla terra con occhi diversi, con un approccio più moderno Si è rimboccato le maniche, ha studiato e ha sposato l’impostazione più estrema del biologico, ovvero la coltura sinergica.
Alcuni riprendono il lavoro dei padri o dei nonni per scelta, non per obbligo. Anche se dietro c’è la necessità di trovare un lavoro. Industria, commercio e artigianato non offrono più opportunità e va ancora peggio ai laureati. Perciò, piuttosto che fare i precari in un call center, preferiscono lavorare nelle campagne. Non a caso l’indice di scolarizzazione dei nuovi allevatori è elevato. Di pastorizia si può vivere. Nonostante la burocrazia che, come in tutti i settori, risulta un peso. Le montagne a chi le coltiva, a chi porta gli animali al pascolo, a chi ne fa uso civico, la gestione dei Parchi a chi la vive e a chi ci lavora per davvero, e non a burocrati metropolitani o a politici spesso a fine carriera in cerca di un buenretiro. Fare le cose per bene in un dialogo intimo e materiale con il territorio, come una unica via per contrastare la crisi.
Un esempio virtuoso è quello di Nunzio Marcelli, pastore nel terzo millennio, che a partire dalla fine degli anni 70, con una laurea in economia in tasca, e’ riuscito a mettere in piedi un agriturismo biologico modello alle porte di Anversa degli Abruzzi (L'Aquila), per molti un angolo sperduto dell'Abruzzo montano. Azienda che da’ lavoro in piena crisi economica nelle incontaminate montagne della valle del Sagittario, tra Anversa e Scanno. Produce latte, formaggi esportati in mezzo mondo e pluripremiati. Organico all'azienda zootecnica è l'agriturismo, uno dei primi in Abruzzo, quando in Regione non sapevano neanche cosa fosse, il ristorante e la fattoria didattica che insegna cose preziose e serie in forma di gioco a migliaia di studenti l'anno. Inventando anche geniali iniziative come Adotta una pecora, che consente di prendere in affidamento a distanza un capo ricevendone in cambio la produzione, potendo scegliere anche l'opzione per vegetariani e ricevendo così non la carne, ma pizze di pecorino, ricotta, indumenti di lana, e prodotti tipici come legumi, zafferano e aglio rosso. In paese collegato al bioagriturismo è nato un progetto di ricettività diffusa in abitazioni messe a disposizione dai privati a cui va l’80 per cento degli incassi.Solo in questo modo si può dare una vera possibilità di vita a luoghi che non devono essere ridotti a vuoti reperti archeologici o a finti paesaggi da set cinematografico, cari alla stampa e a una certa idea di turismo. Per sopravvivere è necessario ampliare l'offerta creando aziende integrate che vanno dalla stalla all'ostello, innovare, sostenere reti e filiere con relazioni molto strette con il territorio. Puntare sulla qualità, saper cogliere che oggi i turisti non cercano solo la natura, ma esperienze, relazioni umane appaganti e autentiche.
Leo Nodari