Mò qua non si pazzia più, combàà ! International food. Eilàà! Non scherziamo. Robbba seria assì. Basta con la solita chitarra nghè li pallott’ Basta con il banale timballo. Avast’ co lù calzon’. Qui si va oltre il banale arrosticino. Siamo all’International food. Ciasansanda. Leggiamo le proposte: salciccia e broccoletti, il carciofo alla giudia, pallotte e cacio, porchetta, formaggio pecorino, patatine fritte, panino con prosciutto e….ooooooooh ! l’hamburger. Che ne sapete voi cafoni terrramani. Questo è l’International food. Una puzza che metà è pure troppa, in un posto che più infelice non si può. Con i furgoni e i banchi che lasceranno danni. Cisiamo. E’ arrivato. E’ l’ International food. “Critiche e dubbi” dicono a Parma. “Festival fregatura” dicono a Roma. “Deludente” dicono ad Agropoli. “Non sono mancate numerose critiche” scrivono a Catania. E per leggere tutto questo basta aprire google, e soffermarsi sulla prima pagina delle recensioni. Non è certo una bella presentazione. Potrei andare molto, ma molto oltre, ma non infierisco. Solo mi chiedo: in una città dove certo non mancano ottimi ristoranti di vario genere, operatori seri, davvero si sente la necessità di ripetere in modo stucchevole queste sagre tutte tragicamente uguali, tutte false, dal nome buffo, ma sempre di sagre trattasi ? Nessuno più di me sostiene che tutto ciò che si fa in città, per la città, è sempre positivo. Solo il grigiore è negativo. Vero anche che tutti devono campare. Possibilmente senza prendere in giro nessuno con mirabolanti “International” che lasciano il tempo che trovano. Anche perché è facile dire "International", meno facile è cucinare in modo corretto, come abbiamo visto in passato in quella piccola giungla dello street food . E va bene pure che uno per campare si inventi una idea, e lo porti in giro per l’Italia. In fondo fa impresa e crea reddito. Però c’è un grosso però: il fatto è che questa storia dei circuiti del cibo da strada ha fatto l’acido. Non torno sul delinquente che butta olio e cibo nella fontana dell’Olmo. Se veramente c’è il video tocca ora alla Polizia comunale rompergli il culo. Se non c’è il video, c’è comunque l’organizzatore, che in solido deve rispondere. E dunque come sopra. Però è sempre la stessa storia: la deregulation no. Abbiamo già scritto degli street food ambulanti, al di fuori della maglia del fisco, food truck con condizioni igieniche azzerate, e condizioni economiche agevolate. Una concorrenza che, gioco forza, diventa sleale. In una città come la nostra dove ci sono molte realtà della ristorazione che fanno fatica, più che altrove bisogna educare a una concorrenza leale e a un mercato libero, ma regolare, corretto. Allora io dico “Prima i teramani”. Perché ci troviamo davanti ad una disparità evidente, palesi scelte che incentivano settori che effettuano somministrazione senza essere sottoposti alle stesse regole dei pubblici esercizi in generale, come gli street food. Un questione molto semplice. Che vorrebbero rendere complessa solo quei signori che si vanno a mangiare l’hamburger aggratis, con la famiglia. La questione è semplice: se non ti chiami “pubblico esercizio” non importano i servizi igienici e tutti possono pisciare sui tigli; gli spazi per il personale possono non essere a norma così come le loro condizioni igieniche; gli ambienti di lavorazione sono a norma secondo una normativa che farebbe chiudere dai Nas qualsiasi ristorante. Quest’estate hanno chiuso dei locali per le bottigliette d’acqua al sole. Bene, allora cominciate a chiudere tutte le bancarelle a via Mazzini. E comunque, anche così, quando Nas e Finanza vanno a vedere, cioè quasi mai, chiudono anche gli street food. Per non parlare degli oneri tributari, come le tasse sui rifiuti, che sono molto, troppo diverse fra le categorie, e sensibilmente più onerose per chi fa somministrazione nella ristorazione . E’ come una gara sportiva in cui, alcuni atleti partono già con delle penalità. Penalità che finiscono per riversarsi non solo sulle tasche dell'esercente, ma sull'ambiente stesso della ristorazione . Difficoltà che, dati alla mano, portano effetti negativi su qualità del prodotto, rischi alimentari per i consumatori, occupazione del settore e attrattività delle nostre città. Benissimo dunque ogni festa. Ma la legge deve essere uguale per tutti, per poter avere un orizzonte commerciale in cui ci sia sempre concorrenza, ma equa. Occorre garantire una competizione leale nel mercato della ristorazione, e non aggirare le regole inventandosi dei circuiti “International” e quant’altro. Spesso senza preparazione e senza cultura della cucina. Adesso è ora di dire basta: “Prima i teramani”. Prima le nostre sagre “occasionali” tutte coronate da giusto successo. In caso, dopo, dopo i controlli, lavori anche chi organizza per dodici mesi un circuito, ogni settimana in una città diversa. Perché questa non è più una attività “esercitata occasionalmente”. E’ una furbata per aggirare le leggi di settore. Le nostre sagre sono un'attività di promozione e valorizzazione del nostro territorio. Stè furbate, diciamolo chiaro, sono solo un modo per far guadagnare l’organizzatore – molto meno i lavoratori – e un misero riempiticcio dei Comuni per non spegnere le lampadine. Che però fanno del male ai ristoratori che pagano tasse e stipendi. Mi chiedo e vi chiedo: non è ora di dire basta ai “finti” ristoranti, alle gastronomie - ristoranti street food e le altre forme della gig economy, come stanno facendo molti Comuni. A Teramo chi tollera e promuove questa situazione perversa che permette a qualcuno di agire senza regole e ad altri impone regole stringenti e onerose? Non la trovate anche voi una situazione non solo inconcepibile, ma addirittura offensiva, verso chi cerca di fare il proprio lavoro con serietà e dedizione. Non è forse il caso di cominciare a dire “Prima i teramani” ?
Leo Nodari