Oggi alla Villa Comunale di Teramo sarà inaugurato il monumento “Omaggio a Falcone e Borsellino” che il Premio Borsellino da maggio scorso porta in giro per l’Italia. E per una settimana sarà a disposizione delle scuole e dei cittadini. Perché, oggi più che mai, mentre la memoria di quella Italia dilaniata dalle stragi si affievolisce, e si perde nel tempo via via che in silenzio scompaiono gli ultimi testimoni di quella tragedia segnata da oltre 2000 vittime della barbarie mafiosa, è importante ricordare e conservare per il futuro la memoria di quegli eventi. Soprattutto per le nuove generazioni. Ma la memoria di importanti avvenimenti passati, rischia sempre in Italia di essere vista come un dovere vuoto, un obbligo stantio o un valore istituzionalizzato che però finisce col non avere più presa sulle persone e sul mondo di adesso. Anche perché se il ricordo è legato a fatti sui quali non si è fatta giustizia né si è arrivati a una verità, dopo molti anni di indagini, condanne, assoluzioni o depistaggi, può sopraggiungere una certa stanchezza anche nell’opinione pubblica. Per i giudici uccisi dalla mafia a Palermo 27 anni fa, invece ho avuto la sensazione che il dovere della memoria sia veramente fondamentale per il nostro paese e per dei motivi anche incredibilmente pratici.
Questo me lo hanno fatto capire, come in un’epifania, la figlia più giovane del giudice Borsellino, Fiammetta, che oggi ha 46 anni.
«Il valore della memoria è necessario a proiettarsi nel futuro con la ricchezza del passato». Il ricordo, la memoria, è una presa di posizione per tutti noi, anche adesso, per ribadire che stiamo dalla loro parte, quella dei magistrati, e dalla parte della legalità.
Ricordare significa non arrendersi. Ricordare deve significare pretendere una verità e, come ha sentenziato Fiammetta Borsellino, «non una verità qualsiasi», ma una verità che dopo 29 anni di false piste e 25 di processi stabilisca le responsabilità materiali e quelle delle menti raffinatissime, come le chiamava Rita Borsellino, che hanno lavorato sia subito dopo la strage sia negli anni seguenti perché la verità non venisse a galla. La verità bisogna pretenderla. Solo in questo modo il ricordo non sarà vuoto, fine a se stesso, o al massimo relegato a una giornata di commemorazione. Dopo 27 anni cosa bisogna ricordare? Come si può onorare delle vittime se non si può garantire loro verità e giustizia?
Per Capaci e via D’Amelio, e per molti altri misteri d’Italia non ci si può limitare a ricordare passivamente. La verità giudiziaria deve andare di pari passo con quella storica, ma quando così non è, non si può fare finta di niente. Tanto più quando si tratta di una delle stagioni più drammatiche della recente storia del nostro paese.
Laddove una verità certa e completa non è ancora stata rivelata è ancora più importante non perdere il ricordo. Come si può ricordare in maniera sincera e puntuale un avvenimento in cui sono morte una o più persone se non si conosce fino in fondo la dinamica, se non si conoscono le responsabilità, se non si è fatta abbastanza chiarezza intorno al contesto storico. Sono molti nel nostro paese gli episodi su cui non si è fatta ancora chiarezza, catalogati sotto l’obbrobriosa definizione di “misteri italiani”. Come se i responsabili fossero destinati a rimanere avvolti nell’ombra, con la speranza tutta italiana che le vittime, come la gente, si stanchino di ricordare e di chiedere verità e giustizia. Per questo la voce forte ed emozionata di Rita Borsellino ieri, e della signora Fiammetta oggi, sono così importanti: sanciscono un punto di partenza e non di arrivo. La memoria di cui abbiamo bisogno è quella da cui scaturiscono domande, che non si accontenta, che se è necessario accusa le storture del nostro sistema e, cosa più importante, tende alla verità.
Leo Nodari