Fu omicidio. Stefano è stato ucciso. Lo sapevamo, da tempo. Ma ora è stato stabilito da un tribunale. Potrà riposare in pace.Ei suoi genitori vivere più serenamente.Mentre nel freddo grigiore dell’aula bunker di Rebibbia si attendeva la sentenza, mi tornano alla mente quelle foto che Ilaria ebbe il coraggio di mostrare. Ritraevano il cadavere di Stefano con gli ematomi. Fu quello solo il primo atto di una serie di battaglie difficili che Ilaria Cucchi è stata costretta a portare avanti per affermare la verità ed avere giustizia. Oggi è stata scritta un’altra pagina. Non l’ultima, ma forse la più importante. Ora c’è una sentenza. Per tutti questi anni lunghi 10 anni la famiglia, Rita, Giovanni, e Fabio Anselmo, hanno cercato instancabilmente di dimostrare che non si trattava di una morte dovuta alle condizioni fisiche in cui il ragazzo versava prima di essere arrestato, né a complicanze sopraggiunte in ospedale, ma che a determinarne il decesso fosse stato il pestaggio, feroce, che aveva subito. Oggi c’è una sentenza.Lo Stato ha scritto che in Italia la legalità costituzionale, che comprende in sé il diritto all’inviolabilità della integrità psico-fisica , e dunque il diritto a non essere maltrattati e torturati, non si ferma sulla soglia di una caserma dei carabinieri. Oggi una sentenza ci dice, nero su bianco, che delle persone in divisa uccisero un giovane a calci e pugni. E per questo non rimarranno impuniti. Le istituzioni italiane debbono molto a Ilaria Cucchi e ai suoi genitori. Senza la loro caparbietà, senza il loro infinito dolore, senza la fatica di un’instancabile Ilaria, capace di fare da muro contro calunniatori e miserabili anonimi aggressori, e senza la strategia, di certo “non difensiva” per usare una metafora calcistica, dell’avvocato Fabio Anselmo, Stefano Cucchi sarebbe stato uno dei tanti senza nome e dei tanti senza storia che sono morti nelle mani dello Stato. Lui invece ha un nome, ha un volto, ha un’anima, ha una storia ed ha avuto una parziale giustizia grazie a Ilaria e a chi, con lei, ha lottato stoicamente per la giustizia e la verità.
A 10 anni dalla morte di Stefano Cucchi, dopo anni di indagini, dopo processi finiti nel nulla, dopo maldicenze e ingiurie nei confronti della famiglia di Stefano, dopo deviazioni e tentativi di infangare altre vittime e occultare la verità , oggi giunge una sentenza: fu omicidio.
La verità completa è ancora tutta da accertare, restano le prescrizioni per i medici che si girarono dall’altra parte, resta il processo per i depistaggi e le menzogne,resta una parte di verità composta da pestaggi, violenza, torture, indifferenza e morte.Ma soprattutto resta una dolorosa verità: 4/5 persone indegne hanno inzozzato una divisa sacra. Il Generale comandante dell’Arma, Giovanni Nistri, ha scritto che “il dolore di Stefano è il nostro dolore”. Non era facile. Ma lo ha scritto. Ed ha ragione. Il dolore di Stefano, il dolore di Ilaria è il dolore di tutti noi. Deve essere il dolore di chi rappresenta le istituzioni, le quali non devono mai sottrarsi alla giustizia. La divisa non dà diritto all’immunità penale. Nei casi di tortura e maltrattamenti da parte di organi dello Stato, il raggiungimento della verità storica attraverso il processo non può che essere un affare di Stato. Non è qualcosa che riguarda solo una madre, un padre o una sorella. La violenza istituzionale è sempre una questione che riguarda l’intera comunità. Non è ridimensionabile a un delitto tra privati ma è un crimine di rilevanza pubblica. È lo Stato che deve preoccuparsi di proteggere i propri cittadini dai suoi custodi infedeli. È lo Stato che deve difendere la memoria delle vittime di tortura dai loro carnefici. È lo Stato democratico che viene ferito quando la legalità si ferma sul portone di una caserma, di un commissariato, di un carcere, di un centro per migranti. E’ lo Stato – se c’è – che deve intervenire se dei servizi deviati fanno saltare in aria la macchina di un magistrato e della scorta. Poi depista, poi inventa pentiti. Poi processa innocenti. Tutto, per non dire che cercava un accordo con la mafia. Per fortuna dopo questo processo possiamo sperare in uno Stato che tutela i suoi cittadini. Con i suoi tempi.
Leo Nodari