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BANCAPOPOLAREL’amico Peppino Marozzi, imprenditore giuliese di lunga esperienza, uno che i soldi li ha guadagnati, investiti, macinati, fatti girare, il primo a parlarmi della captazione e imbottigliamento delle acque del Gran Sasso, mi dice che una banca regionale non serve, non è utile, bastano quelle piccole che già ci sono. Sarò stato sfortunato io che quando faccio accesso al credito per comprare 500 mila euro di spettacoli estivi e 300mila euro di spettacoli invernali, dai vari “Crediti” mi sento dire che arrivano a 100 mila euro. Comunque siamo entrambi d’accordo, e tutti d’accordo, nel dire che una banca per il territorio provinciale teramano è necessaria. Nuova o già presente, comunque necessita. Da che esistono le banche, il loro funzionamento si fonda sulla fiducia che i correntisti, gli obbligazionisti, gli imprenditori della banca, ripongono sulla sua solidità. Se il correntista non fosse sicuro di poter ritirare i propri denari al bancomat quando vuole, si genererebbe quella che si chiama una "corsa allo sportello", con tutti i clienti che andrebbero a ritirare i propri soldi. Questo farebbe andare a gambe all’aria anche la banca più solida, in quanto i denari raccolti vengono tipicamente impiegati dalla banca sotto forma di prestiti, a vario termine, che non possono essere recuperati velocemente. In questo caso si dice che la banca ha un problema di liquidità. Una banca può andare in crisi anche perché non ha un capitale sufficiente per sopportare le perdite derivanti dall’operatività ordinaria o per una emorragia di depositi. Il salvataggio della Popolare di Bari, quindi della ex Banca Tercas, ci mostra quanto sia pericoloso affidare la fiducia dei risparmiatori a persone inadatte . La vicenda è a tutti gli effetti una bella frittata. Cerchiamo di trarre qualche "lezione" dall’accaduto. La prima considerazione riguarda l’inadeguatezza del sistema messo a punto con l’Unione Bancaria Europea per i salvataggi bancari. Il famoso bail-in secondo cui non deve essere lo Stato a intervenire per salvare una banca in difficoltà. L’obiettivo è di impedire che i banchieri adottino comportamenti spregiudicati con la consapevolezza che se le cose vanno male sarà lo Stato a intervenire. In astratto l’argomento non fa una grinza: gli azionisti e i possessori di obbligazioni hanno la possibilità di controllare i manager e quindi devono essere i primi a pagare. L’argomento non fa però i conti con la realtà: mettere in campo un processo di questo tipo per una banca rilevante come la Popolare di Bari con 70 mila azionisti è impossibile, in quanto rischia di generare una perdita di fiducia dei risparmiatori che si rifletterebbe sull’intero sistema. Per ovviare a questo problema, la direttiva sulle crisi bancarie prevede la possibilità dell’intervento dello Stato. Nel nostro caso questo mix da incapacità, sperpero, super stipendi, pallone, basket, gianni morandi, vacanze aggratis in montagna con il cral, cene, raccomandati, parenti, amici, contributi per gli amici incapaci, leccaculo, chi più ne ha più ne metta, ci è costato 1 miliardo e 200 milioni di soldi buoni. Forse non è chiaro, allora ripeto, 1 miliardo e 200 milioni. Anche a te che vivi con la benda e oggi gridi “in galera in galera”. Anche a te che mò il calendario chi te lo da? Prova dal macellaio se c’è quello con le donne nude. Questo giochino del tutto inutile, se non a salvare il salvabile, è costato 1 miliardo e 200 milioni anche a te che sopravvivi ma non te ne frega niente di niente. E anche a te che in tuo senso di giustizia si ferma a “quanti sold’ sarrubbàt mannagiasanta” . Solo perché non te li sei arrubbati tu. Il caso Popolare di Bari, che ha umiliato la città di Teramo, con quei baresi che sono venuti a comandare, quegli arroganti e prepotenti da meritarsi tutti i calci in culo che hanno preso, ha dimostrato come nel caso di una grande banca l’intervento dello Stato rischia di essere la regola piuttosto che l’eccezione. Questo non riguarda soltanto l’Italia. Si può star tranquilli che il governo tedesco non assisterebbe inerme al bail-in di Deutsche Bank. Per questo esiste lo SME di cui tanto si parla, e che tanto divide. Le lezioni non finiscono qui. La crisi bancaria italiana è molto profonda. È stata a lungo sottovalutata dalle autorità di vigilanza italiane e dai governi che si sono succeduti. Il problema Banca Tercas/Pop Bari è sul tappeto da almeno otto anni, le nostre autorità hanno sempre tergiversato escludendo l’intervento statale. Si sono battute strade improbabili, e il risultato è che oggi si interviene in ritardo avendo minato il grado di fiducia dei risparmiatori e con un esborso molto rilevante. Un pessimo risultato. Il rischio è che possa finire tutto a tarallucci e vino, primo perché nessuno farà più impresa sana con loro, nessuno aprirà più conti e dunque presterà loro dei soldi,  e alla fine avremo dei contribuenti che pagheranno comunque a piè di lista. Non un bel messaggio e, comunque, ci permettiamo un’osservazione: non invoco il tintinnar di manette, ma non è l’ora che Banca d’Italia ma soprattutto la Consob inizino a multare gli  amministratori di questa banca per le loro pratiche scorrette? Un Paese serio avrebbe già provveduto. Non è l’ora che, chi porta le responsabilità dell’accaduto -  dopo aver goduto dei super stipendi e super liquidazioni che diventeranno super pensioni -  paghi il conto, e che non sia soltanto il vecchietto o la pensionata azionista a farlo. Oltre ai poveri lavoratori che in questo Natale cammineranno su un sottile file rosso dell’ansia e della paura di perdere il loro lavoro, dopo aver quotidianamente e duramente lavorato. Anche per loro, non è giusto che i responsabili paghino un conto salato, quel conto che fino a oggi non hanno pagato? Altrimenti la fiducia dei risparmiatori sarà compromessa in modo irreversibile.

Leo Nodari