Il Cairo. 7 febbraio, ore 4,00. Arrestato. Bendato, picchiato e torturatocon l’elettricità per non lasciare segni. Chi lo ha fatto è un professionista che sa come fare. E’ dei servizi segreti egiziani dell’Amnel-Dawla. Gli stessi uomini iscritti nel registro degli indagati della Procura di Roma per la morte di Giulio Regeni . Poi trasportato in una location segreta. E’ quello che è accaduto a Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna noto in Egitto per il suo impegno nel campo dei diritti umani. Tipico esempio di quello che non va fatto. Se si fosse fatto i fatti suoi ora sarebbe tornato a Bologna a mangiare i tortellini e godersi dei bei… mortadellini “pasquini”. Patrick George Zaki era uno che non si faceva i fatti suoi. Ovvio che prima o poi l’avrebbero preso e torturato. Anche in Italia stava continuando una attività di ricerca che da anni svolge con l’EIPR (l’organizzazione EgyptianInitiative for Personal Rights).Le accuse formalizzate dalla procurasono “diffusione di false informazioni e uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale”. Durante l’udienza, il giudice aveva in mano il verbale di una perquisizione nell’abitazione del giovane a Mansoura. Ma “quella perquisizione non è mai avvenuta, perché la famiglia di Zaki si è trasferita al Cairo 8 anni fa. E il verbale del suo arresto. nel quartiere di Jadyala a Mansoura. Anche questo verbale è chiaramente falso perché il suo fermo è avvenuto all’aeroporto. La prossima udienza è prevista per il 22 febbraio.In Egitto la custodia cautelare, come avviene nel caso di numerosi attivisti incriminati, può essere rinnovata per lunghi periodi di tempo, anche un anno o due, per questo occorre tenere alta l’attenzione. Le autorità egiziane sanno che dopo il primo clamore su molti casi scende l’oblio. Riprende il suo ciclo di Montalbano, e per la dose di giustizia basta quello. Riprende Bellona e Pupone, e per la dose di schifo basta quello. Riprende la Durso e per la dose di vomito basta così. Riprende Maria che ci fa piangere quel giusto che ci sentiamo buoni, perché starci a preoccuparci di un rompicazzo che non si faceva i fatti suoi ? Stai in Egitto ? E vatti a vedere un museo o mangiarti un Kebab . Che vai chiedendo, indagando, scrivendo. Ma smettila. Ora, i “buoni” a giorni dispari di Amnesty Italia, mentre si accingono a partire per Šarm al-Šayḫchiedono un intervento immediato del Governo per evitare il rischio di detenzione prolungata e tortura,perché non capiti a Patrick ciò che è successo a Giulio Regeni. Oggi, i buoni dei sindacati, appena rientrati dal convegno unitario del cinque stelle di Sharm ElSheik su “Il caldo d’inverno tra diritti e doveri: riflessioni per i lavoratori in cassa integrazione” si accorgono che è necessario che i paesi occidentali si pongano a tutela del rispetto dei diritti individuali e collettivi. Oggi, i buoni della sinistra unita, manifestano e presentano mozioni in ogni dove, perché è inaccettabile che, ancora una volta nel regime di Al-Sisi, si utilizzi la violenza per mettere a tacere le voci della ricerca e dell'attivismo per i diritti umani. Poi accortisi che il petrolio italiano, per i loro suv da ambientalisti, passa tutto da Suez, ritirano la mozione. Che comunque è annullata anche perché mentre la firmavano si sono separati in tre gruppi dello 0,2 % come alle ultime regionali del mese scorso. Oggi, i buoni e democratici, sono tutti in fila per la fiaccolata in ogni città perché in Egitto lo stato autoritario continua a negare i diritti umani, colpendo un altro giovane ricercatore come Zaky, che ora rischia detenzione e torture, similmente a quanto accaduto a Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto nel 2016.Poi si accorgono che il pizzaiolo dove stanno andando è egiziano e allora spengono le fiaccole e “chi vòCrist se lupreg”. Eccoli però i buoni veri, quelli delle associazioni per i diritti umani. Con loro non si scherza. C’è l’avvocatessa milfche sorseggia un tè rosso del deserto egiziano, la professoressa progressista con le scarpe in pelle di cammello, la dirigente femminista desueta,che acquista la frutta solo nella catena di frutta e verdura 'suk' gestito da imprenditori e operai di nazionalità egiziana. L’unica possibilità che ha questo giovane per salvarsi è legare la sua vicenda a quella nell'omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. È un delitto che la gran parte della comunità italiana non può e non vuole dimenticare: una ragione di più per salvare Patrick Zaky. E’ quello che proverò a fare con le mie poche forze. Diffidando dai buoni a giorni alterni.
Leo Nodari