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Donrodrigo

La letteratura e l’arte, da sempre, fin dai tempi di Tucidide e la sua “Peste di Atene”, hanno raccontato “la morte invisibile” dal punto di vista fisico e, soprattutto, morale. Dal Vangelo a Francesco di Assisi, dai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni al “Decameron” di Giovanni Boccaccio, passando per “La peste” di Albert Camus, il tema del “male ignoto” ha sempre ricoperto un ruolo importante.La peste, la lebbraoltre ad essere state malattie che hanno provocato, in passato, milioni di morti, nella letteratura è stata quasi sempre simbolica.Orizzonte di un'umanità allo sfacelo. Ovviamente nessun paragone è possibile, tra il virus di oggi e la peste  manzoniana. In questi giorni – ma anche domani - rileggere i Promessi Sposi può essere utile.Se ne parla molto. Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”.  I promessi sposi non sono solo un celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, ritenuto il più famoso, e il più letto, tra quelli scritti in lingua italiana. Pubblicato nel 1840, il testo è anche un passaggio fondamentale nella nascita della lingua italiana. Illuminante e di straordinaria modernità.E’ interessante vedere come viene raccontato il flagello che sconvolse la città di Milano nel 1630. Tra le memorabili pagine del Manzoni, vien fuori quasi subito l'idea che l'epidemia sia anche il sintomo di un decadimento morale.Vi troviamo tutta la tragedia che stiamo vivendo in questi giorniLo scontro violento tra le autorità;la caccia agli untori; le voci incontrollate; la ricerca spasmodica del paziente zero; il disprezzo per gli esperti; i rimedi più assurdi; la razzia dei beni di prima necessità; l’emergenza sanitaria. Nelle pagine dedicate alla peste, troviamo ciò che leggiamo oggi. La paura. La provvidenza. La speranza. La fede. L’arroganza dei potenti. La colonna infame. L’estrema povertà e le privazione in cui il popolo si trova dopo due anni di terribile carestia. Questo grande romanzo ci regala pagine memorabili, e sembra scritto oggi per come descrive i grandi movimenti dell’anima, così come quelli più biechi, che entusiasmano e dilaniano l’uomo. L’avvelenamento della vita sociale, l’imbarbarimento del vivere civile e dei rapporti umani . E vi troviamo i suoi personaggi, dipinti in maniera fantasticaFràCristoforo che si immola, tanto simile a chi vive oggi in prima lineaIl furbastro azzecca garbugli con i suoi 4 capponi, simile a tanti furbastri di oggi.Don Abbondio il vile e meschino, tanto simile ai preti di oggi.  Lucia violentata nel cuore, stuprata nell’anima, simile a tante donne di oggiche soffrono in silenzioRenzo il filatore, il giovane rimasto senza lavoro, rabbioso ma insicuro, come i ragazzi di oggiL’innominato, il potente che intuisce i segnali di Dio e riflette sul senso della vita. Ma soprattutto, Don Rodrigo, il signorotto, guappo capo dei guappi, che schiaccia chiunque, che impedisce un matrimonio per uno sfizio. Don Rodrigo, il politico ignorante e prepotente di oggi, che crede di poter fare qualsiasi cosa, contando sulla viltà e la paura del popolo, che addomestica le leggi a piacimento, che stabilisce cosa si può fare e cosa “non s’ha da fare”. Il malandrino che usa dei “bravi”, dei servi, per realizzare i suoi progetti malsani. E da questi viene infine tradito. Don Rodrigo è il prototipo del politicante di oggi. Un bandito da niente, che sfrutta la complicità di chi resta a guardare in silenzio. E questo, qui, non ci interessa. Perché Don Rodrigo è anche, soprattutto, il personaggio manzoniano che serve al Manzoni per aiutarlofar primeggiare l'idea "egualitaria" , tipica manzoniana, del virus, della malattiaDon Rodrigo ci aiuta a capire bene che l'epidemia non risparmia nessuno, non fa differenza tra ricchi e poveri, buoni e cattivi. Colpisce i re in Inghilterra, i potenti in Francia,i giovani sconosciuti, i ricchi calciatori e poveri vecchietti. Oggi, lo sappiamo, nella realtà non è più così, perché si muore di più dove c'è miseria, abbandono, solitudine. Don Rodrigo, con la sua morte in miseria, abbandonato, nudo nell’angolo buio di un lazzaretto, ci aiuta a capire bene che ogni virus, imprevedibile, riporta in prima linea i contenuti di fondo della nostra vita. Quei valori dimenticati,quei princìpi  messi da parte, le qualità che per tanto tempo abbiamo faticato a rendere evidenti  alle nostre coscienze.Ora che i contagiati siamo diventati noi, rifiutati, respinti, rigettati,riflettiamo sul destino imprevedibile del potente Don Rodrigo -dimenticato, tradito, abbandonato,  buttato in un angolo, solo con una coperta – siamo proprio noi  tutti possibile contagiati, rifiutati dalle nazioni, respinti dai nostri simili, noi che solo in questa condizione siamo in grado di rifletteresul destino dell’unica razza: quella umana.Don Rodrigo siamo noi che abbiamo paura, panico, che viviamo con l’ansia,mentreil clima barbarico delmale invisibile” ha preso possesso delle nostre città,noi che solo in questa condizione chiediamo rispetto, diritti, libertà e eguaglianza per noi e per tutti. Noi che solo spinti dalla paura per il futuro incerto, per la crisi economica al buio, chiediamo solidarietà, misericordia, compassione, per chi è malato, per noi, e per tutte le persone in difficoltà.Don Rodrigo siamo noi ora che il vivere civile sembra sospeso, l’epidemia del virus, sembra rappresentare nel contempo, una sorta di malefica sfida,ma anche una epocale occasione.Sapremo coglierla ? Sapremo guardare la malattia come quel temporale che squassa,ma fa pulizia .La pioggia che, nel finale dei Promessi Sposilava via il contagio è simbolica di questa pulizia dentro il dramma della pestilenza. Don Rodrigo siamo noi. Ognuno di noi è un il signorotto prepotente, con l’amico potente, l’amico azzecca garbugli. Ognuno di noi, fino ad un mese fa, si sentiva sicuro di se,  forte, pronto a schiacciare i più deboli.  Don Rodrigo siamo noidistruttidallapaura, abbandonati, soli, con un futuro incerto che diventa una croceDon Rodrigo siamo noi, posti davanti una sfida, ma anche davanti una epocale occasione. Sapremo cogliere questa opportunità ? Sapremo capire gli errori fatti. Sapremo  essere Don Rodrigo fino in fondo ? Manzoni ce lo descrive ammalato, tradito, abbandonato, in preda al delirio per la febbre, senza scarpe, vestito di brandelli, sfigurato, mentre giace dentro il lazzaretto. In punto di morte, con la bocca velata, con il volto nascosto del rifiutato, cerca il conforto di una mano amica, cerca la misericordia di qualcuno che condivida con lui un pasto, un gesto, una carezza, cerca la compassione di Fra Cristoforo e il perdono di Renzo. E soprattutto di Lucia. A nome di tutti i figli dolenti della terra il lebbroso interroga la fede di questi tre: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime?  Davanti al contagioso, all'impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, siamo in grado di offrire compassione.  Fra Cristoforo si commuove, tocca. Tocca l'intoccabile, toccando ama, amando guarisce la sua animaRenzo lo perdona. Lucia gli sorride. Fino a quandoDon Rodrigo su la cima d’un tristo mucchio, fra lo strepito e le bestemmie, esce dal lazzeretto per andarsene alla fossa  Noi, così bravi ad usare le parole, sappiamo fare come Gesù, come Fra Cristofaro, con i lebbrosi del nostro tempo: anziani, malati, rifugiati, poveri. Siamo in grado di “toccarli”, con la solidarietà concreta, un gesto di affetto, un sorriso. Ognuno come può.  O sappiamo solo parlare ?

Leo Nodari