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GiandonatomorraAnno 1979. Una vita fa. Si presentò all’improvviso in una rissa sulle scale della vecchia università di Teramo. Di quelle belle, corrette, senza cattiveria, che ad ottobre, tutti gli anni, per anni, immancabili, aprivano l’anno scolastico. Non c’era tempo per il vecchio, classico, semplice ed elementare “cui prodest?”. Si correva da un Istituto all’altro. Oramai la rivoluzione popolare era dietro l’angolo. Oramai il sistema era abbattuto. O almeno così credevamo. Non c’era tempo per parlare. Dire. Spiegare. Non si poteva perdere tempo. Gli ultimi residui di resistenza, che volevano impedire alle avanguardie nazional popolari di prendere il potere, andavano abbattute  a furia di mazzate. Ogni giorno. In ogni angolo. Davanti ad ogni scuola. La rivoluzione era pronta a fiorire. Almeno così credevamo. Il popolo da li a qualche mese si sarebbe ribellato al potere marcio democristiano e lo avrebbe abbattuto. Così credevamo. Arrivò da Foggia per studiare a Teramo. E si inserì nel gruppo dei buoni. Parlava, parlava, spiegava, diceva. Lo chiamammo il "fascista di sinistra".Il“ Gramsci nero”. Ma a me, quelli corretti, educati, piaceva definirlirivoluzionari con la giacca per contrapporli a noi del FuanCaravella di via Siena “con il maglione di lana”. Con la giacca ma sempre espressione di una destra sociale, colta e passionale,uncome politico autentico, interprete di percorsi culturali moderni e illuminati. Guardando una sua recente foto mi sono ricordato tanti momenti che la mente aveva messo in un angolo buio. Mi è bastato fermarmi un attimo per ricordare il giovane GiandonatoMorra. Tra i tanti studenti che frequentarono il Movimento Sociale a Teramo,  Morra lo ricordo perché è stato uno di quelli che provò a dare alla politica almeno un  di movimento. Ricordo la sua attenzione sulla socializzazione e sui temi dell'anticapitalismo e del terzomondismo interpretando, dal suo punto di vista, i motivi ispiratori del fascismo. Ricordo le sue simpatie per le teorie aristocratiche del filosofo esoterico Julius  Evola, il suo intervento all’incontro con Rauti per lanciare il quindicinale "Linea" che nasceva dal gruppo rautiano“Linea futura”, molto seguito dalla base giovanile cui proponeva i temi d’avanguardia, dall’ecologia all’analisi della crisi del sistema con il dispiegarsi della globalizzazione, ma soprattutto proponeva una linea di inserimento nella società civile e la riscoperta delle origini di sinistra del fascismo. Giandonato, in quegli anni lontani si contraddistinse per il tentativo un inserimento dei valori della destra nelle dinamiche politiche del tempo senza smarrire l’identità di destra  nobile, anti sistema, onesta. Già da giovane universitario era un pensatore. Morra, “duro e puro”, era tra quelli che si sforzavano di andare oltreil nostalgismo per intraprendere un percorso politico-culturale di grande respiro. E, infatti, di grande respiro, profetico eraquel grupponazionalista, cheinizi anni ‘80 diede vitaal “fronte comune antisistema”. Il MSI nostalgico di Almirante,con il suo immobilismo culturale, impedì che quella proposta potesse avere seguito. La nostalgia di un fascismo di maniera, antistorico, vinto nelle piazze, sconfitto dalla storia, battuto dal futuro che avanzava impetuoso, in quegli anni impedì che una veradestra anti sistema, dura e pura, potesse avere un vero ruolo politicoL’intuizione dello “sfondamento a sinistra”, lo schema della destra sociale, di penetrazione nei certi popolari o comunque più esposti ai venti della crisi, cui oggi si ispira Salvini, non furono coltiI ripetuto episodi di violenza che pervadevano il paese erano il riflesso, la conseguenza, la cassa di risonanza di una situazione generalizzata di degrado e di scollamento. Tutto quello che accadevae occupava le cronache, straripandone con flutti sconvgolgentiera soltanto l’effetto di un “male” più profondo che aveva  pervaso sin le fibre più riposte della comunità nazionaleCome in nessun altro Paese dell’Occidente, la crisi del regime partitocratico corrotto  era diventata crisi del sistema. Erano finiti i giorni belli  della politica, iniziati nel ’68. Molti giovani si ritirarono  nel più riposto privato come ultima, disperata, ridotta difensiva. Molti giovani si accorsero allora che le proprie idee sarebbero rimaste per sempre una nicchia residuale, con scarse possibilità di inserirsi nella dialettica politica. E da li iniziò il disastro. Ogni ragionamento cominciò ad apparire insufficiente, superfluo. Vischioso. Vile. Gli amici cadevano. Ogni giorno era un massacro. Molti pensarono che non si poteva più attendere. E provarono a forzare la mano alla storia . Ad abbattere il portone invece di aprirlo. E nacque il terrore. La violenza gratuita. Gli omicidi. Le stragi. Le complicità con la mala romana e i servizi segreti. 400 latitantiMigliaia di arresti. La droga.La fuga in mille rivoli . La sconfitta. I tanti suicidi dimenticati, di cui hanno avuto il coraggio di parlare solo due intellettuali liberi come Giorgio Pisanò e Tommaso Staiti di Cuddia. Da quel momento i miei ricordi si interrompono. Ho perso Morra per anni, per ritrovarlo in consiglio comunale, all’opposizione del Sindaco Sperandio. Ricordo le simpatiche battute, sul fil di fioretto, incomprensibili ai più, utilizzando Evola, Drieu La Rochelle,  Nietzsche, parole non comprensibili ai nipoti della democrazia cristiana corrotta, ai seguaci del puttaniere, ma oramai neppure ai badogliani di Alleanza Nazionale. Posso dire che Giandonato  in quegli anni -da figlio di anni irripetibili - ha sempre conservato la vivacità intellettuale, la passione per ideali che - condivisibili o non condivisibili - hanno orientato la sua azione, nella certezza che nessuna iniziativa politica ha senso in mancanza di una solida base culturalePerché è vero che le radici profonde non gelano.Insegnamenti e valori validi anche oggi, ancora più che per gli anni nel corso dei quali da uomo di apparato egli ha speso le sue fatiche e le sue energie. Come per tutti, si possono non condividere le scelte del suo impegno politico ma non si può non rendere omaggio ad un professionista che, sfidando l’emarginazione, ha tenuto viva la testimonianza di una politica fatta per e con passione.Poi ci siamo persi del tuttoLe bandiere sono state ammainate. I vessilli si sono stretti.Molti miti sono andati in frantumi, di quelli che sembravano, sin qui, occupare ed egemonizzare il campo delle speranze e delle volontà dei più. Non c’era più modo, ne ragione per rivedersi. Ma le radici profonde non gelano. Così, guardando la foto di Giandonatoche è comparsa in questi giorni sui social, però mi sembrava bello e giusto ricordare questa storia. Un filone di vita; un comune retroterraGiandonato che guarda l’orizzonte, perso in un pensiero, mi ha ricordato che noi veniamo  dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra; il non coinvolgere gli innocenti e salvaguardare i deboli. Siamo “noi”, diversi, e anche per questo non soltanto ci sentiamo diversi, ma superiori. In termini di idee, di cultura, di programmi. Non so perché. Ma quella foto di fa dire che, ognuno con le proprie idee che mutano con il mutare del tempo, delle esperienze, del mondo che ci circonda, si può e si deve rimanere coerenti con l’eticaprofessatacon i contenuti spirituali e più nobili del vivere. Si. si può, si deve, fare politicaper nobilitarle e affermarle al tempo stesso, quelle idee. Continuando a guardare sempre l’orizzonte. Ricordandosi sempre che le radici profonde non gelano.

Leo Nodari