Eppure io quel signore lo conosco. Ora non ricordo, ma io quel signore in fila lo conosco. Chi è ? E’ in fila. Composto. Distinto. Silenzioso. Occhi bassi. Siamo in una delle zone più belle di Roma. Anzi siamo proprio neI core de Roma. La zona che,giovane studente universitario, per prima mi ha accolto, cullato, protetto, assistito. E’ dove ho cominciato a lavorare, nel teatro dei Satiri, nel 1977. Tra Largo della Torre Argentina e Campo dei fiori, tra il ghetto e il Pantheon c’è Palazzo Santa Croce, un palazzo del 1400 in Piazza del Monte di pietà. E, al numero 33,c’è il “servizio di prestito su pegno” dettobanco dei pegni. Quando nacque, nel 1500, il banco aveva l’intento misericordioso di combattere gli usurai ebrei, e così rispondere alle esigenze di credito dei poveri, strappando il monopolio dei prestiti aibanchi del vicino ghetto ebraico, che praticavano tassi di interesse molto alti. Per andare da casa mia a Trastevere, fino a lavoro in piazza dei satiri, passarci in mezzo è sempre stata la strada più breve, più diretta, più tranquilla. Ma ci sono sempre passato lontano, scegliendo il trafficato Largo Argentina, dove fu ucciso Giulio Cesare.
Vedere quella gente in fila, soprattutto giovani tossici, madri in difficoltà e anziani malandati, mi ha sempre inflitto una tristezza infinita. Un dolore difficile da sopportare. Una angoscia che ha sempre aperto riflessioni dolorose su quanto possa essere ingiusta la vita. Pensando che dal banco basta attraversare corso Vittorio per trovare i ristoranti del Senato e gli hotel di piazza Navona da 1.000 euro a notte.Anche se, da giovane universitario, forse ero più povero di loro, vedere dei padri di famiglia con la fede in mano o delle madri con i ricordi dei genitori mi feriva troppo. Non lo riuscivo a sopportare. Ma passa il tempo, scemano i ricordi , e così ieri uscendo dalla Feltrinelli per pranzare con la fantastica pizza del mitico forno di Campo dei Fiori, la più buona del mondo, sono passato in Piazza del Monte di pietà
Una fila immensa mi ha stroncato il respiro. In un ordinato silenzio una fila lunga e silenziosa, più lunga del solito mi ha fermato il battito. Almeno cento persone. Senza un brusio erano in attesa di entrare. Sperando di entrare. Per vendere una parte della propria vita. Una specie di via crucis ai tempi del distanziamento sociale. Si procede di qualche passo e poi ci si ferma, in attesa di avanzare nuovamente. C’è tutto il tempo per prendere coraggio. C’è tutto il tempo per consumare anche l’ultima lacrima. Il traguardo è una porta a vetri dove si legge: "Credito su stima". Significa liquidità immediata, ed è un modo per sopravvivere alla crisi economica scatenata dalla pandemia. In tempi di ristrettezze economiche, aggravate dall’emergenza virus, ho così scoperto che oggi sono tanti gli italiani che in attesa di un aiuto del Governo che colpevolmente tarda a venire,fanno ricorso al Monte dei Pegni per ottenere un pò di contanti. Per sopravvivere oggi sperando in domani. Ho scoperto uno spaccato sociale angosciante, diventato in questi giorni devastante.Dove migliaia di italiani sono costretti a fare la fila per avere liquidità. Anche per 100 euro. Una realtà che preferiamo ignorare chiudendo gli occhi. Ma all’improvviso la realtà riemerge feroce. E scopriamo che questo è quello che accade in un giorno normale nel cuoredel nostro Paese.Preferiamo ignorarlo. Noi, i più, lo ignoriamo. Ma questa è la realtà. La povertà. Dignitosa ma povertà. Lunghe file, certo, imposte anche dalle misure di distanziamento, ma che comunque danno l’idea di quello che è il momento che vivono i non garantiti in un’Italia che rischia anche da un punto di vista sociale. Perché dopo l’emergenza sanitaria, c’è senz’altro l’emergenza di carattere economico e sociale.
Non è facile fare quella fila. In silenzio, a testa bassa. Si porta di tutto, soprattutto oro e gioielliQuegli oggetti stretti in una mano hanno un valore incommensurabile, perché rappresentano la vita. Collezionati nel corso degli anni, ricordi di giorni felici e delle persone care. La catenina del fidanzamento. La penna del primo giorno di lavoro. La spilla che la tua famiglia si tramanda da generazioni.L’orologio regalato da tua madre, gli orecchini che hai comprato con il primo stipendio. Il servizio di posate della domenica. Persino la fede.
Non riesco a respirare. Mi ero appena abituato,nell’ultimo mese, a vederele lunghe file davanti al conad di Corso Francia. Non mi aspettavo che ancora più lunghefossero quelle al Banco dei Pegni. Fatte anche da commercianti e liberi professionisti fermi con il lavoro, che hanno bisogno urgente di liquidità, per riaprire le attività o per le spese di messa in sicurezza e ripartire.Un pòdistanziato, un signore si arrangia a distribuire dei fogliettini numerati. Perché qualcuno arriva che è ancora notte. Qualcuno porta una piccola sedia da casa. Un altro disgraziato, distanziato dagli altri, mani sugli occhi, aspetta in silenzio. Un giovane alza la voce “Sono da due mesi a casa. Come vivo?” La tensione è tangibile.C’è sconforto e disperazione. Ma questa è una soluzione veloce: si entra e nel giro di 15 minuti si ha un prestito, senza grossi problemi: si può scegliere un riscatto a tre, fino a 3 anni. Nessuno chiede il nome, che lavoro si fa, se si hanno debiti, quale situazione si vive: molti sono clienti che difficilmente avrebbero un prestito bancario. La maggior parte sono figli della Iena madre, l’Agenzia delle entrate. In coda gli accenti si mischiano: Nord, Sud, da fuori Italia. Metà donne e metà uomini, molti giovani. Una ragazza malandata vende un piccolo gioiello, dopo aver venduto tutto quello che poteva vendere, corpo compreso. Ma l’età è medio alta. Molti sono anziani e fanno ancora più pena. Ma che modo è questo per terminare la vita. L’avrebbero mai pensato mentre correvano sui prati di Roma. Qualche immigrato che si aspettava un destino diverso. C’è chi ha perso il lavoro per il virus, chi faticava già prima e a malapena arrivava alla fine del mese. Basta uno sgambetto della vita, una malattia e ti ritrovi in fila per rinnovare il prestito, non per riscattare.
E tra questi, all’improvviso, come un tonfo al cuore, come una mazzata in testa, incrocio gli occhi tristi, e lo sguardo imbarazzato, di un noto commerciante teramano. Uno che non mi sarei mai aspettato di trovare li. Uno che non lo diresti mai. Uno che pensi tutt’altro. Lui mi ha riconosciuto. Negli anni passati l’ho visto più volte in teatro nei miei spettacoli. In pochi secondi devo decidere se salutarlo oppure no. In pochi attimi devo scegliere come toglierlo dall’imbarazzo, e così ho guardato in alto, poi indietro, e ho deciso di far finta di non averlo riconosciuto. Magari ho sbagliato. Non so. Magari serviva una parola di conforto. Non so. Il fatto è che quando ti imbatti in una persona in difficoltà, dimenticata, negli ultimi, nelle vittime, nei sofferenti per ogni genere di ferita,è difficile abbracciarele condizioni di quella umanità, provata dalla fatica esistenziale, dalla dignità negata. E’ difficile entrare nell’ottica della speranza umana, che si afferra al legno della Croce bagnato del sangue di Cristo.Il fatto è che avevo bisogno di riprendere il fiato. Lo so. Da privilegiato dovrei essere solidale senza tanto pensare. Ma non è così. Mentre avevo appena acquistato dei libri superflui respiravo la ferocia della povertà, l’angosciadel mettersi in coda davanti al Monte Pegni. Due mesi di attività bloccate, di stipendi congelati, di cassa integrazione che tarda ad arrivare, ha ingrossato la fila di gente che impegna oro e ricordi di famiglia per mangiare, per tamponare delle difficoltà temporanee. Senza finire in mano agli strozzini. Ti prego Presidente Conte, fai presto. Vi prego, fate presto. Vi prego.
Leo Nodari.