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Berardoleo

Partiamo dalla notizia. E’ di quelle importanti ma brevi. La società Dasi, di Franco Di Donatantonio, Mauro Barnabei e Berardo di Battista - che con grande serietà e successo si occupa di sgombero locali, custodia per privati, vendite all’asta, beni mobili, di servizi integrati per le procedure giudiziali a livello nazionale - ha donato 4 barelle all’ospedale di Teramo. Veramente un bel pensiero. Un pensiero che non hanno avuto tutti. Parlare resta più facile che donare anche in tempo di pestilenza. Se poi non ci sono le telecamere donare è difficile. E del resto neppure con due decenni di virus l’uomo diventerebbe più buono e solidale, meno indifferente al dolore degli altri. Questo la sapevamo e ci mettiamo un punto. Però c’è da dire che, in questo loro donare,Mauro e Berardo sono avvantaggiati. Perché il Dna non è un’opinione. 

Quandosi parla di quel bravo ragazzo che è Mauro Barnabei, la mia mente non può fare a meno di volare ad Alfiero, il papà. Idecano degli industriali teramani. Un gigante. L’uomo che venendo da Montorio con la valigia di cartone, poco più che trentenne pensò e realizzò – con l’aiuto di Remo Gaspari allora sottosegretario all’industria - il nucleo industriale di Teramo e , poi, il Centro fieristico del mobile. E da Presidente di Confindustria Teramo inventò Assindustria Servizi S.r.l., la società di servizi dell’Unione Industriali di Teramo. Tutto in declino. Per la crisi ma anche per i senza palle che governano. Quando parli di Alfiero Banabei si parla di lavoro a 150 famiglie teramane. Si parla di un imprenditore che ti parlava in montoriese,e dava del tu a tutti, dal MinistroGaspari all’ultimo operaio.Ti metteva una mano sulla spalla e cominciava la lezione.Quando si parla di Alfiero Barnabei si parla di carità, umanità, di volontariato, di Croce Rossa – di cui fu presidente - di autoambulanze da donazioni private, della Misericordia di San Nicolo. Quando si parla di Alfiero Barnabei si parla di ABF, quindi di calcio, basket, spettacoli, beneficenza. Quante volte mi sono messo in fila. Dal ’90 al 2000 eravamo in tanti a fare la fila nel suo studiolo. Mi facevo accompagnare sempre da una bella ragazza, spesso da Carla Di Sabatino. A lui faceva piacere. Mi guardava, bofocchiavae sorridendo mi diceva qualcosa che quasi sempre non capivo, poi uno schiaffetto, “ fa lu bon” (avevo leso sua maestà Re Gaspari denunciando i “voli di stato”)e, a seguire arrivava puntuale il contributo. Erano in tre, e sono rimasti solo loro tre veri mecenati della cultura teramana: Barnabei, Di Sante e il grande amico / nemico Julius Pediconi. Dal 200 al 2005a questi tre aggiungo Romano Malavolta. Che persone. Che abruzzesi. Che forza. Che grinta. Che super serate. Che palle immense avevano. Chi ce l’aveva più grandi non l’ho mai capito, ma certo stargli accanto era un piacere. Se solo la maledetta politica li avesse lasciati fare, la storia di Teramo sarebbe diversa. Il destino poi è stato diverso, perché erano diversi i caratteri. Ci vorrebbe un articolo a parte. Dico solo che erano il buono, il brutto, il cattivo e lo stronzo. Il buono era Alfiero Barnabei, dunque per Mauro è facile esserlo.Il Dna non è un’opinione.

Tutta un’altra storia. Tutta un’altra ambientazione. Un’altra location per Berardo Di Battista. Famiglia semplice. Quartiere San Berardo. Figlio di Mario, un riferimento, uno di quelli che negli anni ’70 ha formato tanti giovani, oggi sessantenni. Uno dei pochi sindacalisti onesti che ho incontrato.Uno delle persone più serie, più coerenti che abbia mai conosciuto. Berardo è figlio di unaautentica famiglia del popolo. Di quelle belle. Sane.Da romanzo popolare. La madre era una donna stupenda di quelle che, a tavola quando c’era per sei c’era per dieci. Il capofamiglia era uno che metteva insieme ideali e lavoratori, speranze e azioni nei suoi uffici, piccoli e freddi, della Cisnal. Uno che portava noi, ragazzi  di destra - estrema e molto estrema - a bere in cantina, in via Capuani angolo via Costantini, dove oggi c’è una gioielleria. Un bicchiere, massimo due e basta, per raccontarci dei suoi valori, onore e fedeltà. Il fratello Luigi – il più posato e discreto - con la sua Groupama tiene vivo  il calcio e lo sport teramano. Il fratello Alberto – da giovane aveva una forza spaventosa, due mani a palanca e lo chiamavano Obelix, il terrore dei rossi - oltre che piacere alle donne,aveva il compito di venirmi a prendere per farmi entrare a scuola quando era pericoloso uscire di casa, e anche lui oggi continua la sua opera sindacale in favore della povera gente. Mentre il fratello artista, Antonio, tiene viva la Chiesa di San Berardo. Come avrebbe potuto fare Berardo a non essere un ragazzo buono e generoso ? Il Dna non è un’opinione. Purtroppo però era anche bello e capace. Aveva una dote innata, e ogni cosa che faceva a “Berardo mani d’oro” gli riusciva. Apriva un locale sfigato in via Palma, dietro il Comune,  dove nessuno sarebbe mai andato ? E lui lo riempiva. C’era uno chalet che non funzionava e stava per chiudere ? Lui arrivava è diventava il posto top dell’estate. Nomi improbabili. Fiche pazzesche. Quanta fica girava. E non c’era niente da fare. Berardo era unico. E piaceva alle ragazze.Vicino piazza Martiri c’era una galleria, un posto buio dove le attività chiudevano a giro ? Per Berardo era il posto giusto per aprire un bar di successo . Sul corso c’era un posto scomodo su tre piani, rimasto vuoto per anni, inutilizzabile per qualsiasi attività, una scala stretta, una cucina da roulotte, un’acustica di cavolo ? Berardo lo prendeva e diventava “in” come il Miragè di Milano epieno come il Bollicine di Bologna. C’erano giovani che uscivano , e venivano anche da altre città, per mettersi in fila sapendo che non sarebbero mai entrati. E per tanti anni è sempre stato così. Non c’era spazio per altri in Abruzzo. Solo il bravo Paolo Giorgini teneva testa nell’alcova di Giulianova Paese. Dietro di lui crescevano tanti giovani. Tanti provavano. Tanti mister nessun pensavano di riuscire. Tanti sparacazzocredevano fosse facile. Mitomani, falliti, banditi. Ne abbiamo visti di “re della notte… solo per una notte”. Tra tanti, solo Massimiliano Zechini è stato capace di ripercorrere le ormeIntuizione. Dedizione.Sacrificio. Serietà. Calma. Successo, sono un tutt’uno. Il mondo della notte è complicato. Molto. Lavorare mentre, e dove, gli altri si divertono è complesso. Farsi rispettare non è semplice. In tanti anni nei locali di Berardo non è mai successo niente. Tanti soldi fatti e tanti buttati. Troppo successo. Per una piccola città questo era intollerabile. Quando tanti ti amano tanti ti odiano. In una piccola città è una regola. E’ così. E’ sempre stato così. Un giorno in consiglio comunale Ivan Graziani mi fece una lezione su questo. E tutto quello che mi disse “jardàt” . Non bisogna rammaricarsi. E’ così. Se Berardo Di Battista fosse stato un impiegato del catasto, invece di girare con la Harly o la Bmw 850 – che, se potesse parlare, vi racconterebbe anche delle mie notti romane da sparacazzo – non avrebbe avuto ne critiche ne problemi. Se fosse stato un avvocatucciocazzo moscio e guardone, invece che un professionista di successo, avrebbe dormito di più e sofferto di meno. Ma lui era come era. L’importante è che oggi stia bene. Per fortuna.  E quindi essere solidale oggi, davanti al dolore, non è uno sforzo. Perché il Dnanon è un’opinione.

Leo Nodari