Sono le 17,58 quando la mafia compie la sua vendetta. "Ho visto una fiammata e poi ho sentito un boato... forse prima ho sentito il boato e poi ho visto del fumo nero". Ore 17,58, l'ora del massacro, l'ora dell'infamia, dell'orrore, della morte. Dalle stragi di mafia che insanguinarono l’Italia nel 1992 sono trascorsi ben 28 anni. 23 maggio 1992. Ore 17,58 . Giovanni Falcone muore dilaniato nella sua Palermo, fra le lamiere di un'auto blindata, dentro il tritolo che apre la terra. Muore insieme ai compagni che per dieci anni l'avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E' morto con sua moglie Francesca.. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17,58 del 23 maggio del 1992. La più infame delle stragi si consuma in cento metri di autostrada che portano all'inferno. Dove mille chili di tritolo sventrano l'asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. C'è un boato enorme, sembra un tuono, sembra un vulcano che scarica la sua rabbia. In trenta, in trenta interminabili secondi il cielo rosso di una sera d'estate diventa nero, volano in alto le automobili corazzate, sprofondano in una voragine, spariscono sotto le macerie. Muore il giudice, muore Francesca, muoiono tre poliziotti della sua scorta. Ci sono anche sette feriti, ma c'è chi dice che sono più di dieci. Alcuni hanno le gambe spezzate, altri sono in fin di vita. Un bombardamento, la guerra. Sull'autostrada Trapani-Palermo i boss di Cosa Nostra cancellano in un attimo il simbolo della lotta alla mafia. Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E' la sua scorta, la solita scorta con Antonio, Antonio Montanari, agente scelto della squadra mobile che appena vede il "suo" giudice che scende dalla scaletta si infila la mano destra sotto il giubbotto per controllare la bifilare 7,65. Tutto è a posto, non c'è bisogno di sirene, alle 17,50 il corteo blindato che trasporta il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia è sull'autostrada che va verso Palermo. Tutto sembra tranquillo, ma così non è. Qualcuno sa che Falcone è appena sbarcato in Sicilia, qualcuno lo segue, qualcuno sa che fra otto minuti la sua Croma passerà sopra quel pezzo di autostrada vicino alle cementerie. Massacro "alla libanese" per colpire e non lasciare scampo al Grande Nemico. Una tonnellata di esplosivo, un telecomando, un assassino che preme un tasto. Così uccidono l'uomo che per dieci anni li aveva offesi, che li aveva disonorati, feriti. La vendetta della mafia, la vendetta che diventa morte in un tratto di autostrada a cinque chilometri e seicento metri dalla città, la città di Giovanni Falcone, la città dove pochi lo amavano e molti lo odiavano. Un minuto, due minuti, la campagna siciliana, l'autostrada, l'aeroporto che si allontana, quattro minuti, cinque minuti, il DC9 dell'Alitalia proveniente da Roma che scende verso il mare e sorvola l'A29. Sono le 17,57, Palermo è vicina, solo sette chilometri, solo pochi minuti. Lo svincolo per Capaci è lì, c'è un pò di vento, ondeggia il cartellone della "Sia Mangimi", si muovono gli alberi, il mare è increspato. Intorno, da qualche parte, c'è l'assassino, ci sono gli assassini che aspettano Giovanni Falcone. Sono le 17,58. C'è una curva larga. Il cartello che indica l'uscita per Isola delle Femmine. Sono le 17,58 e Salvatore Gambino, coltivatore, passeggia su un ponticello e guarda le auto che sfrecciano sull'autostrada. "Ho visto una fiammata e poi ho sentito un boato... forse prima ho sentito il boato e poi ho visto del fumo nero". La scena è di quelle che lasciano una firma mostruosa: 500 chili di esplosivo per disintegrare il nemico numero uno di Cosa NostraIl cratere che testimonia la carica di odio mafioso è ancora sotto gli occhi di tutti. Come per l’undici settembre, la scena di Capaci è per sempre inchiodata nella nostra mente. Gli ultimi attimi: il boato, il calore, loro sollevati e poi coperti dall’asfalto in briciole . La prima auto di scorta non c’è più. Ovunque solo brandelli indescrivibili. Gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro non sono più. L’auto di Falcone è rannicchiata su sé stessa, schiacciata, mutilata. Le scarpe di Francesca Morvillo, sono lì ,adagiate sull’asfalto sventrato. Dietro, l’auto della scorta che chiudeva il corteo : gli agenti sopravvissuti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello. Francesca è ancora cosciente. Una donna la consola, l’abbraccia, la implora di resistere , di attendere i soccorsi, di non mollare. Lei con quei grandi occhi pieni d’amore per Giovanni e pieni dell’orrore vissuto. Giovanni ha uno sguardo spento, assente. Quella sera del 23 maggio 1992 Giovanni Falcone emette l’ultimo respiro, mentre l’amico e il collega Paolo Borsellino lo tiene tra le sue braccia nella stanza d’ospedale. Paolo dirà che una parte di lui è morta lì in quell’istante con Giovanni. D’ora in poi il suo sguardo sarà stravolto fino a quando l’autobomba –due mesi dopo -piazzata sotto casa della madre farà saltare in aria anche lui e i ragazzi della sua scorta : Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Non c’è alcuno sforzo nel ricordare, nel compito ineludibile della testimonianza Anzi, ciò che indichiamo come memoria in realtà si trasforma in una lettera testimoniale, perenne, che diventa più viva man mano che passano gli anni. “E’ solo mafia?”, ripete in aula Oscar Luigi Scalfaro eletto subito Presidente in un’Italia sotto choc per l’inchiesta Mani Pulite e i continui avvisi di garanzia per corruzione inviati a molti politici. Oggi sappiamo che non fu solo mafia: i processi sulle stragi, soprattutto quella su via D’Amelio, non solo sono pieni di interrogativi sulla presenza di elementi esterni a Cosa Nostra, ma ci hanno confermato che pezzi deviati dello Stato furono complici dell’attentato che dilaniò Paolo Borsellino. La storia di Falcone e Borsellino ci dice che non tutti i magistrati o tutti i rappresentanti dello Stato furono ( e sono) nemici di Cosa Nostra. Molti per molti anni fecero finta di non vedere e non sapere, e ancora oggi sono collusi e complici della criminalità organizzata.. In compenso dal ’92 in poi moltissimi uomini dello Stato si sono impegnati, e hanno inferto duri e implacabili colpi alla mafia, andando oltre l’indagine ordinaria, cercando le prove contro i boss di Cosa Nostra, scavando e trovando i collegamenti con quella politica sporca, con l’imprenditoria marcia. Molti sono oggi i magistrati che non si accontentano, che non si fanno fermare come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La storia di Falcone e Borsellino ancora oggi pone una domanda angosciante: quanti nemici ebbe Giovanni Falcone? Chi uccise Falcone ? Oggi sappiamo che non fu solo la mafia. Menzogne. Depistaggi. Insabbiamenti. Tanti. La storia è nota. E quanti nemici ebbe Paolo Borsellino? Tanti, anche vicino a lui. Agnese Borsellino, fino all’ultimo, piegata dalla malattia, ha ripetuto come Paolo avvertisse aria di morte attorno a sé, negli ultimi incontri anche istituzionali, nelle minacce che gli giungevano negli ultimi giorni di vita. Il 19 luglio 1992 dunque la stessa sorte tocca a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Sipario.
Leo Nodari