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Regenileo

Tradito. Da un Governo che a chiacchiere chiede verità e giustizia per un giovane massacrato dai torturatori del “Faraone”, e che poi a quel regime di torturatori vende armi e strumenti di morte. Tradito. Ma pure offeso per l’utilizzo continuo che si fa del suo nome. Ucciso in Egitto il 3 febbraio del 2016 e tradito oggi. Nel dayafter della via libera dell’Italia alla vendita di due fregate Fremm al Cairo, anche i genitori di Giulio Regeni fanno sentire la loro voce. Le navi e le armi che venderemo  all’Egitto serviranno per perpetuare quelle violazioni dei diritti umani contro le quali Giulio ha  sempre combattuto.  Brucia troppo l’accordo commerciale sbloccato domenica da una telefonata tra il premier Giuseppe Conte e il presidente egiziano al- Sisi. Anche perché comunicando quella telefonata il presidente del consiglio ha detto di aver  ribadito al leader egiziano la collaborazione giudiziaria nel caso Giulio Regeni. Anche per questo Conte sarà chiamato alla commissione Regeni. Ogni volta che si chiude un accordo commerciale con l’Egitto, ogni volta che si certifica che quello di al- Sisi è un governo amico, tirano in ballo il nome di Giulio come a volersi lavare la coscienza per quel giovane italiano trovato morto sulla strada del deserto tra Alessandria e il Cairo. La vendita delle due fregate è l’ennesimo errore e l’ennesima occasione persa. Gli italiani sono stanchi delle innumerevoli promesse non rispettate dalle autorità egiziane. Vale per Giulio Regeni, vale per Zaki. Più volte l esecutivo ha rassicurato la famiglia Regeni di voler fare luce sull’omicidio di Giulio. A ottobre è stata costituita una commissione parlamentare d’inchiesta, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dichiarava: “È arrivato il momento di cambiare passo e atteggiamento nei rapporti con l’Egitto. Lo stallo con l’Egitto non è più tollerabile. Per noi la verità  sull’omicidio di Giulio è una priorità  che non può subire alcuna deroga”.  E invece ora questo governo lo ha tradito.  Otto mesi dopo le parole di Di Maio, infatti, ecco arrivare il via libera alla vendita delle due navi della Marina Militare: la Spartaco Schergat e la “Emilio Bianchi, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro. Vendita allo stesso Paese che continua a trattenere in carcere, ormai da quasi 4 mesi e senza unregolare processo, lo studente egiziano dell’università di Bologna, Patrick George Zaki Ora , è stato raggiunto il limite. L’affare concluso fa parte di una commessa ancora più ampia che, come riportato in più articolo da Globalist,  dovrebbe comprendere anche altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia EurofighterTyphoon e 20 velivolidaaddestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore totalefra i 9 e gli 11 miliardi di euro.  Le stesse fonti riferiscono che la decisione sarebbe stata già condivisa con i vertici di Fincantieri, che era in trattativa con Il Cairo e attendeva appunto l’autorizzazione all’esportazione delle due navi.  Nonostante il regime autoritario continui a non collaborare con i magistrati italiani nella ricerca della verità sull’uccisione del ricercatore universitario Giulio Regeni, l’Egitto resta il principale destinatario dell’export di armi italiano. Lo confermano i dati relativi al 2019: già da un anno il Cairo è il miglior cliente dell’industria bellica italiana con 871 milioni di euro.. L’allarme in merito ai nuovi affari tra Roma e il Cairo era stato lanciato solo pochi giorni fa con la campagna ‘Banche Armate’ che chiede alle banche di non finanziare “le aziende che vendono armamenti ad al-Sisi”. Le tre riviste promotrici, Missione Oggi dei missionari Saveriani, Nigrizia deimissionari Comboniani e Mosaico di Pace del movimento Pax Christi, ponevano l’attenzione su quello che viene definito il contratto del secolo”, un contratto per forniture militari del valore complessivo di 11 miliardi di dollari, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra. Per di più destinato proprio all’Egitto, Paese che continua a mostrare, dalla presa del potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi, sistematiche violazioni dei diritti umani, incarcerazioni arbitrarie, repressione del dissenso e persecuzione degli oppositori politici.  Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia, Il Cairo non ha mai fornito risposte e un vero sostegno nella ricerca di verità per l’uccisione di Giulio Regeni . Il nome di Regeni non appare nemmeno nel comunicato della presidenza egiziana con cui domenica è stata data notizia della telefonata tra Conte e al-Sisi.  Con una sola mossa (l’acquisto di sistemi militari italiani) – rimarca su Osservatoriodiritti, Giorgio Beretta, tra i più acuti analisti, in campo pacifista, di spese militari - il presidente al Sisi mira non solo a fare tabula rasa delle rimostranze per la gestione del caso Regeni, ma soprattutto intende accreditarsi agli occhi dell’Italia come un partner affidabile e rispettoso dei diritti umani: quale Paese venderebbe mai un intero arsenale militare ad un autocrate che permette l’assassinio di un suo cittadino? Tanto più quanto questo Paese ha tra le sue leggi quella che vieta espressamente di esportare armia nazioni  i cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani?. Da tempo l’Egitto si sta riarmando. Il Paese è al centro di una regione instabile. Le sue forze armate devono far fronte alle minacce del terrorismo, soprattutto nel Sinai; alle tensioni nella vicina Libia, dove da anni si combatte una feroce guerra civile; alle mai sopite tensioni con l’Etiopia, con al centro la controversia legata alla Grande diga del Millennio e alla possibile riduzione della portata del Nilo. In Egitto è però in corso anche una durissima repressione interna. Eppure in appena quattro anni il valore dell’export militare italiano verso il regime di al-Sisi è centuplicato. Tra le vendite che spiegano l’ultimo valore  ci sono anche 32 elicotteri per operazioni di search&rescue, ma che possono anche trasportare truppe ed essere armati. Se sono per uso civile, allora perché chiedere l’autorizzazione militare?.Elicotteri, fregate, armi leggere. Destinati a uno Stato di polizia in cui  i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).  Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati...Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi. Uno Stato a cui l’Italia vende armi per miliardi di euro. Sporchi di sangue. Anche quello di Giulio Regeni.

Leo Nodari