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Maradonaleo

Ieri Diego Armando Maradona , il dio del calcio, ed pibe de oro,   mano de dios  e anima fragile era a Roma .  Umio amico mi dice: “All’aeroporto ho incontrato Maradona. Gli ho fatto una foto, poi gli ho stretto la mano. E dopo ho pianto”. Cercando come incrociarlo  mi sono maledettamente imbattuto su un video di un uomo in ciabatte, strafatto, perso, devastato da un balletto ipnotico con tutta quella carne addosso e chissà quanto alcool in pancia, che si allaccia come un vecchio orango alla sua poco affabile bionda. Prima ancora di appiccicarci sopra ogni possibile commento, e mentre la ripugnante gang dei social si è già infilata l’infradito della deplorazioneQuel video che gira non ècollocabile con precisione nel tempo, ma collocabile certo nella parabola di un uomo che non la smette di dare scandalo di sé. Dal giorno in cui ha saputo che “essere Maradona” è una gigantesca menzogna e che vero è tutto il resto, la vita che passa. Due minuti scarsi che raccontano la grandezza al suo apice, il giorno in cui è perduta per sempre. Sulle note maliarde di “BombonAsesino” dei Los Palmerasi Casadei della cumbia argentinaDiego Armando Maradona, l’uomo che è stato in cima al mondo, ora mostra il suo culo nudo e flaccido.Come dire: “Prendetelo, fotografatelo e mostratelo, non sarà per questo che io sarò meno Maradona e voi meno miserabili”. Nemmeno Almodovar al suo meglio. Impossibile scansare lo sguardo. E dobbiamo dire grazie all’infame che, dopo averlo girato, lo ha messo in rete, a quel Giuda nascosto tra i presunti amici di Diego, che gli amici quasi mai ha saputo scegliergli. Ammesso che un genio di questa dimensione abbia mai scelto qualcosa. A cominciare da questo suicidio distillato negli anni. Più sfarzoso e dunque maradonianodi una palla brutale in testa alla Cesare Pavese.Quando sei stato Maradona puoi esse disponibile a frequentare solo gli inferi, e le divinità, oppure nessuno. La decadenza di Diego non è un boulevard al suo tramonto, non c’è la cosmetica lussuosae ridondante delle vite da star, ma una scena domestica pornograficaper l’insieme di squallore e apatia, dove l’autodistruzione di Diego trova la sua via maestra.Un balletto debosciato, in cui spicca una forma di lucidità spirituale: se disfatta deve essere, che sia almeno radicale. Dopo aver deliziato le folle, sparato la faccia allucinata alle telecamere, ora Diego mostra il suo sedere molle al mondo, non avendo più nulla e nessuno da dribblare. Proteggerlo da se stesso è impossibile. Impossibile. La strada è segnata. E anche il verso.Un intero libro non basterebbe a descriverne il carattere e le mille sfaccettature di un uomo che ha cambiato per sempre l’immaginario collettivo del mondo del pallone, con le sue magie, con la sua classe, con i suoi eccessi e le sue grandi debolezze. E’ stato il più grande di tutti, con buona pace di Pelè e di Messi. Un campione umano, forse anche troppo, lontano dalla regale altezzosità di “O Rey”, diverso dalla lucida follia di George Best, o dalla glaciale classe di Johan Cruyff. La sua umanità, è la caratteristica che gli ha permesso di diventare prima icona, poi leggenda, infine mito. Amato dal popolo, perché è uno del popolo. Se sei il migliore di tutti tempi non lo decidono gli esperti, i tecnici, ma la gente, e Diego è per acclamazione il miglior calciatore di tutti i tempi. Da Villa Fiorito, quartiere povero alla periferia di Buenos Aires, ad entrare nella storia, il passo non è breve. E’ un cammino costellato dalla conquista di vette irraggiungibili, e di cadute pesantissime, dal quale sarebbe (il condizionale è d’obbligo) stato difficile per chiunque rialzarsi. Il tutto accomunato da un unico filo conduttore: un talento pazzesco mai visto prima in nessun giocatore. Si è liberi di credere o meno nell’esistenza di un Dio ordinatore dell’Universo, ma non si può mettere in discussione che in quel sinistro ci sia qualcosa di divino. Nella città che attendeva il suo Messia.Genio e follia, opulenza e decadenza. Maradona e Napoli. Gli scudetti, la Coppa Campioni, i gol impossibili, il pazzo amore della gente. La cocaina, i comportamenti da star capricciosa, la fuga, la squalifica. Cambiare il destino di una città, senza riuscire a cambiare il proprio. La tossicodipendenza, la depressione, i problemi di salute, insorti nella parte finale della sua carriera, ne modificano il profilo, in particolare per le nuove generazioni, che hanno avuta la sfortuna di non vederlo all’opera, e che possono rivedere il genio di Diego solo attraverso immagini, e filmati di repertorio. Ma i racconti di quelli che c’erano riescono a far rivivere il mito, anche a chi non c’era più quando Maradona era all’apice della sua carriera a Napoli. “ Che vi siete persi”, è una scritta che ancora campeggia sul muro di un cimitero di Napoli, dopo la conquista del primo Scudetto nel 1987. Non veder giocare dal vivo Maradona, e come non aver visto giocare Michael Jordan nel basket, o combattere Mohammed Alì nel pugilato. Maradona è vittima del suo mito. Conseguenza inevitabile. Se è riuscito a sconfiggere la dipendenza dalle sostanze stupefacenti, non riuscito a fare a meno di quel dal pallone. Una dipendenza che lo ha portato a credere di poter essere un allenatore quando in cuor suo sa benissimo di non esserlo, perché la tattica non gli apparteneva neanche da giocatore, perché se sei un dio non puoi allenare i comuni mortali. Quando si segnano i gol che ha segnato lui, quando si è simbolo di riscatto di città (Napoli) e nazioni (Argentina), non si può scendere a patti con nessuno, tranne che con se stessi. E oggi,el “Pibe de oro”, ancora deve vincere la sua partita più importante, che non è quella con la cocaina. E’ una partita che continuerà forse all’infinito: Diego contro Diego. In attesa del risultato, ti rendiamo omaggio così.  Diego, danza per noi ancora una volta.

Leo Nodari