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Anche una grande donna come Emma Bonino - in puro stile Pannelliano autodistruttivo - può dire delle puttanate colossali. Ieri in segno di disobbedienza civile, aderendo alla campagna Meglio Legale” per la decriminalizzazione della coltivazione personale di cannabis, ha piantato dei semi sul suo balcone di casa. Brava! Un bel gesto! Educativo! Giusto per finire in bellezza una straordinaria carriera di impegno ! Ci prova a provocare, ma nessuno la sente. Del resto la questione droghe pare normalizzata, media e politica non se ne occupano. La droga in Italia non c’è. Eppure i numeri sono sempre drammatici: 9.441 morti in Europa nel 2018, 296 in Italia nel 2019. I consumi sono sempre alti e le sostanze di abuso si sono moltiplicate. Le carceri sono piene e i servizi terapeutici quasi vuoti. La riduzione del danno, il “quarto pilastro” indispensabile delle politiche sulle dipendenze, in Italia è letteralmente scomparsa, le strutture private di risorse. Allo stesso modo, non si parla più di AIDS, che uccide di meno ma che continua a infettare senza che vi sia adeguata consapevolezza e informazione sui comportamenti a rischio. In entrambi i casi servirebbe investire sulla prevenzione, su percorsi educativi e di sostegno. Indubbiamente il fenomeno dell’uso di droghe in Italia – ma il discorso vale in generale – non è mai scomparso: si è magari modificato nelle modalità di assunzione e nel tipo di sostanza consumata, ma ha visto una sostanziale continuità. Si muore ancora, ma questo non fa più notizia. Le droghe non sono più un’emergenza, anche perché l’assunzione e pure lo spaccio sono divenuti meno visibili, meno sulla strada, meno direttamente connessi a fenomeni di microcriminalità, quanto meno nella percezione comune. La questione droghe, insomma, pare normalizzata. Eppure quasi la metà dei detenuti è in carcere per la violazione della legge sulle droghe. Numeri che dovrebbero fare riflettere, che dicono di tribunali intasati e di celle sovraffollate. Tanto più che a essere colpiti sono per lo più consumatori e piccoli spacciatori, non grandi trafficanti. Questa sì una vera emergenza, che necessita di strategie, e non solo sul piano repressivo. Così come occorre investire sul piano educativo e culturale con le scuole, con le famiglie, nei luoghi di aggregazione giovanile. La fotografia della “piazza” ci suggerisce come sia improprio, oggi più di ieri, leggere il fenomeno del consumo solo attraverso le categorie del disagio sociale e della vulnerabilità individuale. Può esserlo al limite nel caso dell’eroina, il cui abuso continua a nascere quasi sempre da storie difficili, biografie dissestate, episodi di sofferenza, di violenza, di abbandono, di povertà materiali, educative e culturali. Di nuovo, è un problema anzitutto culturale, di consapevolezza e lungimiranza. La prevenzione non serve solo alle persone fragili e ai loro familiari ma a tutta la comunità: prevenzione significa corresponsabilità, sapere che il problema tuo è anche mio. Significa accoglienza, riconoscimento, impegno per il bene comune. In tutto questo la politica gioca un ruolo fondamentale, ma deve tornare a essere una politica capace di progetto, di visione, di investimento sul futuro; capace d’incontrare le persone non solo attraverso il filtro delle statistiche e delle logiche economiche. La politica deve dire con chiarezza estrema, senza se e senza ma, che è un grave errore, avvalorare l’idea che “una droga è leggera”. Significa incentivare le persone a sottovalutarla, e a provarne il consumo. Il problema non è infatti solo sanitario, ma culturale ed educativo. Come possiamo promuovere fra i giovani corretti stili di vita e fare campagne contro il consumo di droga, alcol o persino sigarette se poi diciamo che in forma leggera, in piccole quantità, non fanno male ? Sbaglia uno Stato – o una persona autorevole - che legittima l’impiego di sostanze che danneggiano la salute dei suoi cittadini . La verità scientifica ci dice che la cannabis è rischiosa e che causa danni, soprattutto nei giovanissimi. In più sappiamo che l’uso di cannabis non obbliga, ma aumenta di molto la probabilità che si passi all’uso di droghe più pesanti. L’uso terapeutico della cannabis è argomento completamente diverso. È chiaro che se ci sono benefici per i malati che la scienza potrà documentare in modo puntuale e preciso, sarà giusto impiegare questa sostanza per alleviarne il dolore o addirittura curarli. Ma siamo ancora lontani sia dal capire se questi benefici effettivamente esistano (per ora siamo fermi a dei riscontri minimi sulla spasticità in persone con sclerosi multipla) sia dalla certezza che i farmaci a base di cannabis vengano confezionati in modo corretto. Non si può proprio capire quale sia il modello di lotta alle dipendenze che ha chi chiede a gran voce libera marijuana. Perché se da un lato si riconosce la pericolosità della droga, dall’altro si strizza l’occhio al consumatore secondo il mantra in voga per il quale 'della tua vita fai quel che vuoi', come se una società, una famiglia, una comunità scientifica fossero solo optional. Parafrasando Orwell, in sostanza si dice che 'alcune droghe sono più uguali (o più da provare) di altre'. Perché non si vogliono sentire i richiami delle società scientifiche da sempre schierate contro la liberalizzazione della marijuana, e l’innumerevole letteratura di studi e prove che mostrano la pericolosità del 'fumo' non solo per gli adulti ma in particolare per i giovani, quelli a cui spiegare che fa male non servirebbe a niente perché il loro cervello è fatto per trasgredire, ma per i quali trovare a portata di mano qualunque droga diventa un invito a nozze. Che modello di lotta alle dipendenze vogliamo avere se da un lato si sta ottenendo dopo anni una vittoria contro il fumo di tabacco e al tempo stesso si racconta che la marijuana – ben sapendo che spesso fumarla è la strada per passare al tabacco e viceversa – non farebbe male? Dove si pensa di arrivare se mentre l’Organizzazione mondiale della sanità mette tra le malattie mentali la dipendenza da gioco d’azzardo si sorride con sufficienza se qualcuno spiega che la marijuana è una sostanza da cui si può diventare dipendenti? La lotta alle dipendenze è legata a come si parla delle varie droghe. E qui è grande la responsabilità non tanto degli educatori di professione quanto di chi si espone sui media, dei personaggi dello spettacolo e della musica: perché, lo ricordino bene, nessuno sarà dissuaso dall'avvicinarsi a qualcosa di pericoloso se chi si ritrova intorno dà il cattivo esempio, anche solo con l’inopportuna ironia. Il flagello della continua ad imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Di fronte a tale fenomeno, sento il bisogno di dire che la droga non si vince con la droga! “Droga leggera” è solo un modo velato di arrendersi al fenomeno. La droga, ogni droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi.

Leo Nodari