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PALAMARABIS

Il traccagnotto che aveva fatto suo il motto del Cardinal Carafa, “Vulgus vult decipi, deinde decipiatur" (Il popolo vuole essere ingannato, e allora sia ingannato) ora la butta in caciara.. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Erano gli altri a venire da me, a chiedere, a pregare, a inginocchiarsi per avere ciò che non gli spettava. Mi viene da vomitare. Magistrati. Persone chiamate a “magisterare”, a “governare” la giustizia, si incontravano di notte. Andrebbero presi a frustrate . In alternativa a calci in culo da Vasto a Martinsicuro. Maledetti pezzi di merda. Magistrati che indossano una toga simile a quella di Chinnici, Occorsio, Terranova, Calvi, Amato, Caccia, Ciaccio Montalto, Livatino, Scopelliti Falcone, Borsellino, e altri 38 martiri della giustizia. Che hanno creduto nel magistero. Nella giustizia. Che hanno avuto la schiena dritta e la fronte alta. Magistrati. Traditori. Si incontravano di notte come carbonari. Bastardi. E punto. Da radiare. E punto. Indegni. E punto. Si incontravano per regalare procure. Maledetti che saranno dannati per sempre. Si incontravano per creare carriere. Pezzi di merda che non avranno il perdono divino. Con buona pace di tutti quelli che fino a pochi mesi andavano a riverire il tarchiato barbuto, il boss della male con la toga, l’amico di Lotito a Roma meglio noto come Claudio Savastano. Con buona pace di quei procuratori che andavano inchinandosi, prostrandosi, offrendo doni al boss dei boss con l’auto blindata della scorta. Magistrati corrotti si incontravano di notte, fratelli massoni senza cappuccio, con le loro facce di merda. Brutti come la notte che frequentavano. Si incontravano di notte, lavoravano di notte come le troie di strada. Mercanti di nomine si incontravano di notte quando fuori era buio pesto. Vomitevoli anche senza il cappuccio in testa. Con il mantello dei traditori, dei congiurati pronti a tradire i magistrati uccisi. Pronti a vendersi come le mignotte. Peggio delle sgualdrine. Imbastivano e demolivano carriere in nome di scambi tra correnti, e in ragione di criteri di "affidabilità" politica, trasparenti come le notti più nere. Traditori. Mi basta così per vomitare. Non voglio sapere cosa si dicevano questi truci individui mascherati. Non mi interessa sapere se volevano “fare la pelle a Pignatone” proprio come i mafiosi.
A leggere le 34 pagine della richiesta di ammissione dei testimoni, sembra che la difesa punti a dimostrare che “così fan tutti”. E che così hanno sempre fatto. Che, spesso, chi aspirava a un incarico direttivo qualche contatto con i togati prima che l’iter partisse lo prendeva. Che il sistema era consolidato e forse poi nemmeno troppo illecito perché, è evidenziato nelle carte, si discuteva, si ragionava sulle nomine - non propriamente nella sede naturale, viene da aggiungere pensando alla famosa notte all’hotel Champagne in cui si parlava del futuro procuratore di Roma - ma “l’autonomia della scelta finale spettava, ai componenti della quinta commissione e del plenum del Csm”. Palamara ha indossato l’elmetto e non ha alcuna intenzione di passare alla storia come la mela marcia che paga per tutti. Lo scopo di Palamara è dimostrare di non aver inventato nulla. Di essere entrato, con un ruolo indiscutibilmente rilevante, in meccanismo già consolidato. Tesi, questa, chiaramente non condivisa da chi rivendica che c’è una parte, vasta, della magistratura estranea ai giochi di potere. A leggere le 34 pagine della richiesta di ammissione dei testimoni, sembra che la difesa punti a dimostrare che “così fan tutti”. E che così hanno sempre fatto. Che, spesso, chi aspirava a un incarico direttivo qualche contatto con i togati prima che l’iter partisse lo prendeva. Che il sistema era consolidato e forse poi nemmeno troppo illecito perché, è evidenziato nelle carte, si discuteva, si ragionava sulle nomine - non propriamente nella sede naturale, viene da aggiungere pensando alla famosa notte all’hotel Champagne in cui si parlava del futuro procuratore di Roma. Un tentativo di processo nel processo. Sul banco degli imputati, anche se in maniera indiretta, rischia di trovarsi tutta la giustizia italiana. O almeno il modo, la “prassi consolidata”, con cui è stata gestita negli ultimi anni. Per legge le ‘pene’ per le toghe che si macchiano di illeciti disciplinari vanno dall’ammonimento alla destituzione
Però occorre dire con forza che non sono tutti Palamara. E’ importante non gettare il letame su tutto e su tutti. I magistrati in Italia sono novemila, e il loro lavoro prezioso, onesto, importante, di giustizia si svolge in prevalente silenzio. Ognuno, sul lavoro, impersona lo Stato in presa diretta; ogni giudice, ogni piccolo giudice che pronuncia una sentenza “in nome del popolo italiano” non ha capi, non ha "superiori" in questa sua funzione, è soggetto solo alla legge, come dice la Costituzione; e alla legge e alla coscienza è fedele. Non possiamo perdere questo baluardo di certezza. E se qualcuno sbaglia il rimedio è contenuto nel sistema.
Una seconda osservazione è necessaria. Le malefatte di cui è accusato Luca Palamara - se ci sono state e su cui l’indagine farà luce- non riguardano un mercato della giustizia, cioè una giustizia "marcia", ma un fatto per così dire "clientelare" in tema di nomine a incarichi dirigenziali. Certo, brutta cosa anche questo traffico d’influenza. Ma grazie al cielo cosa tutta diversa da un giustizia che non da giustizia. E adesso? Niente tragedie, ma per favore niente ipocrisie, niente silenzi sul lungo panorama del passato: è sbagliato generalizzare le "toghe sporche", perché non è vero.
Ma il procedimento disciplinare deve ancora iniziare. E, quale che sia il suo esito, non basterà a mettere la parola fine a una vicenda che ha travolto la magistratura italiana con una dirompenza forse mai registrata nella storia delle toghe .

Leo Nodari