Gli esperti dicevano che saremmo arrivati a 20mila a Natale. Ci siamo arrivati ieri. Replicheremo questa sera. Ma ancora che siamo in attesa di decisioni incisive. Il Governo ha avuto tempo 8 mesi per poter convocare in maniera regolare dei tavoli di gestione del Covid. Tutti sapevano che sarebbe tornato. Mancano i vaccini ma ci sono i buoni monopattino. Mancano i tamponi ma ci sono i buoni vacanza che nessuno ha usato. Dai oggi che arriva domani cento scienziati ieri hanno scritto al Governo di prendere misure drastiche in 2-3 giorni. Per molti parlamentari “Giuseppi” è uno yogurt scaduto e l'addio è ormai scritto. Dopo la crisi sanitaria tutti a casa. Non solo per la sua l'incapacità di gestione del Coronavirus, per le incertezze sui fondi europei e per la crisi economica in cui ha gettato l'Italia, ma semplicemente perché non sa governare. Dice. Promette. Ridice. Ma molti attendono ancora le 600 euro famose. E nel frattempo mentre la fascia dei supergarantiti statali con il culo parato versano soldi sui conti correnti, una fascia enorme di popolazione si avvia verso la povertà. E il consenso cala. Se ci fosse un candidato forte alla successione come era Salvini, prima che le danze del Papete lo travolgessero, e facesse cadere il governo di cui era il vice, Giuseppi ora farebbe l’avvocato. Comunque domani si cambia. Arriva un nuovo DPCM. Oramai siamo abituati, la domenica doppio appuntamento fisso, abbiamo il posticipo di serie A e il discorso di Conte. E già questo la dice lunga sulla indecisione che regna. Dove non sono serviti gli show televisivi di De Luca; dove non sono bastati i piagnistei di Fontana che forse si appresta a una nuova bella fornitura di materiale sanitario da parte della Dama Spa, di suo cognato; dove sono stati inutili di allarmi di Zingaretti che sul Mes gli darà il benservito, ad allarmare Giuseppi è un inconsueto e preoccupato appello che gli chiede di "assumere provvedimenti stringenti e drastici nei prossimi due o tre giorni", per evitare nelle prossime settimane "centinaia di decessi al giorno". A firmarlo sono cento tra scienziati, economisti, ricercatori e professori universitari alla luce delle stime del professor Giorgio Parisi dove, in caso di assenza di misure consone, si stimano circa 500 morti al giorni attorno alla metà di novembre.
Vero è che nessuno vorrebbe essergli camicia. In questo momento è necessario contemperare le esigenze dell'economia e della tutela dei posti di lavoro con quelle del contenimento della diffusione del contagio, c’è la pressante esigenza di salvaguardare il diritto alla salute individuale e collettiva sancito nell'articolo 32 della Carta costituzionale come inviolabile, ma anche la salvaguardia delle attività imprenditoriali e industriali, degli esercizi commerciali già pregiudicatidal dilagare fuori controllo della prima e ora della seconda pandemia. In sostanza quindi serve prendere misure efficaci per evitare guai ancora peggioriin considerazione dei numeri che stanno precipitando. Anche perché, in caso contrario, il lockdown ci sarà comunque.
Solo che, quando Giuseppe Conte chiuse l'Italia l'11 marzo scorso sei giorni dopo - il 17 marzo - approvò in consiglio dei ministri il decreto Cura Italia con i primi 25 miliardi di euro di aiuti. Non erano molti, lo sappiamo, sono arrivati con gran ritardo e si sono rivelati una goccia nel mare del bisogno.Ma sono stati fondamentali per dare un messaggio a chi era chiuso: arriva un aiuto, stringete i denti che lo Stato è al vostro fianco. Chi riceveva 600 euro sapeva bene che con quelli avrebbe fatto poco, e nei mesi successivi avrebbe ricevuto altri cerotti utili almeno a fermare l’emorragia. Quando a metà maggio l’Italia è stata riaperta per convivere con il virus con quegli spiccioli in tasca milioni di italiani hanno rialzato la testa e non si sono arresi. I ristoratori hanno trasformato e riaperto i loro locali, i proprietari di bar, pub e birrerie li hanno seguiti, 400mila operatori dello spettacolo hanno riacceso la musica e, come loro,molti altri commercianti e piccoli e medi imprenditori ( parrucchieri, palestre, centri sportivi, tassisti, alberghi, e mille altre attività). Sapevano che sarebbe stato difficile, ma si sono rimboccati le maniche, hanno fatto gli investimenti richiesti dai protocolli imposti dagli esperti che assistono il governo e ci hanno provato. Ora la serranda sta richiudendosi piano piano con il governo che non decide nulla, ma attraverso le confuse ordinanze regionali che chiudono la movida anche nel tardo pomeriggio e impongono il coprifuoco ad orari diversi nei vari territori con divieti che scattano alle 21, alle 22, alle 23 o allo scoccare della mezzanotte.
Ora è finito il tempo delle promesse. Non basta più la narrazione rammaricatacon i tempi teatrali, da gran seduttore, e le scuse per i ritardi sui contributi se poi i soldi veri sono solo 4 miliardi e non 100. Non basta più il 110% che nessuno vuole perché nessuno può anticipare. Non serve la fiscalità di vantaggio per il Sud e le anticipazioni delle misure promesse dall’Europa, solo nuove promesse, che negli incubi degli italiani potrebbero diventare chimere. Le promesse economiche che lui ha fatto alle imprese nei periodi di lockdown, poi non è riuscito a mantenerle e gli imprenditori sono sullo stato di guerra. Certo, è stato bravo a creare casse integrazioni che poi non paga, redditi di cittadinanza per chi non vuole lavorare. Certo, lui sa che l’Italia è composta da una società che vive consumando i soldi delle generazioni precedenti, ma ora siamo diventati una società parassita di massa, i soldi cominciano a scarseggiare. Certo, grazie al Covid possiamo sforare tutti i bilanci. Ma è un discorso dal respiro corto.Il disegno è diabolico, ma la coperta si è fatta corta. E Giuseppi è costretto a rimandare il lockdown. L’unico provvedimento utile davvero. Ogni errore potrebbe essere l’ultimo.
Leo Nodari