Chiudere cinema, teatri, palestre, piscine; sospendere eventi, festival, congressi è una scelta precisa: definisce ciò che viene ritenuto essenziale a svantaggio del resto, ritenuto eventuale e quindi sacrificabile . Davvero credete che la chiusura di cinema, teatri e sale da concerto sia affare solo di pochi privilegiati, attrici famose, attori celebri, registi sulla cresta dell’onda. E che ne è di quelle centinaia di migliaia (non centinaia, centinaia di migliaia) di lavoratori che, direttamente o indirettamente, tengono su i pilastri dell’industria culturale? Che ne sarà di tecnici, elettricisti, trasportatori, costumisti, macchinisti, grafici, orchestrali, impiegati, destinati a restare senza lavoro? E quale programmazione si potrà avere se non si sa niente sulle date certe di riapertura? Chi potrà impedirne la morìa, il colpo secco e definitivo a dei luoghi importanti per contrastare la desertificazione sociale, lo svuotamento delle città, la tristezza delle saracinesche abbassate? Certo: la sicurezza, la distanza, gli assembramenti. Certo la salute.
Contro questo ultimo dpcm il docente, pianista e concertista Piero “Masaniello” di Egidio, “la pulzella de Teràm” Sandra Buongrazio che porta la musica italiana sui più prestigiosi palchi internazionali, the king Arthur Valiante che reputo tra i migliori 5 pianisti jazz italiani, l’elegante maestro di batteria Rodolfo Tullj storico compagno di avventura di Ivan Graziani, ma ancora prima drums dei “Modernist” di Nino Dale, ma anche tanti altri stanno dando vita al gruppo social “In piazza per la cultura” che, con i suoi 11mila aderenti sta imponendo una propria linea alla protesta contro l’ultimo dpcm di Conte. Dopo il maestro Muti e Piefrancesco Favino, dopo tantiattori, musicisti, registi, tecnici che stanno protestando contro l’ultimo dpcm, dopo le centinaia di lavoratori dello spettacolo che stanno inscenato flash mobin tutta Italia per accendere i riflettori sul settore della cultura, duramente colpito dall'emergenza Coronavirus, anche i nostri operatori culturali cittadini si stanno mobilitando consapevoli diquanta cautela e quali investimenti ci siano stati da parte di chi ha ripreso meritoriamente a fare cultura performativa dopo il lockdown, e ritenendo profondamente ingiusta questa seconda chiusura, dato che certamente non è questo settore quello propagatore di contagi. Questo gruppo certo non è negazionista, non aderisce (per il momento) alla manifestazione dei lavoratori del settore dello spettacolo prevista per venerdi 30 ottobre per denunciare l’assenza di prospettiva e di progetto per una vera ripartenza di tutto il comparto fortemente danneggiato dal perdurare della crisi dovuta alla pandemia da Covid-19. Molti di loro nei commenti constatano che un rientro a una piena normalità non sarà possibile in tempi brevi, considerando anche che la pandemia determinerà un lungo periodo in cui le persone temeranno i luoghi affollati. Questo rafforza la necessità di individuare le fattibilità per forme possibili di spettacolo, nel rispetto di tutte le misure cautelative, ed evitare le sospensioni che gravano sull’occupazione e sulla possibilità di resistere oltre la pandemia per un settore imprenditoriale che non è fatto solo di grandi imprese pubbliche. Molti operatori chiedono al governo l’individuazione di forme di sostegno certe e strutturate a favore dei lavoratori dello spettacolo sino a tutto il 2021 e l’istituzione di un tavolo permanente tra Ministero della Cultura, del Lavoro e le associazioni di rappresentanza delle imprese dello spettacolo per discutere gli stanziamenti dello Stato, le risorse derivanti dal Recovery Fund, organizzare e agevolare forme di ripartenza in sicurezza la vigilanza diffuse e stabili, vigilare sul rispetto dei contratti nazionali, individuare, per tutta la fase dell’emergenza criteri di assegnazione del Fus che leghino l’erogazione alla tenuta occupazionale, riconoscimento, ai fini previdenziali, di tutto il periodo di emergenza Covid-19.
Una cosa mi sento di dire, e dirò Venerdi prossimo in piazza: se una sala osserva tutte le norme di sicurezza, se garantisce che tra gli spettatori venga conservata la distanza, se per nessun motivo potrà entrare qualcuno senza mascherina, se si guarda un film o uno spettacolo teatrale in silenzio e senza emettere infette goccioline, davvero perché questa mannaia indiscriminata e feroce? Si dice: bisogna mandare un segnale. Ma bisognerebbe smetterla di rimpiazzare l’impotenza del fare con la sovrapproduzione verbosa e retorica dei “segnali tristi” da lanciare. La serietà impone in una pandemia di prendere provvedimenti efficaci, non di esibirsi nel simbolismo dei “segnali”. Perché nel frattempo, nella vita reale e non in quella dei proclami, un intero comparto dello spettacolo e della cultura rischia davvero (come purtroppo si poteva prevedere sin da marzo) di esalare il suo ultimo respiro. Dicono: la cultura è il nostro petrolio. Ma ora il nostro petrolio viene gettato via, e insieme vengono gettate via le basi stesse della sopravvivenza materiale di centinaia di migliaia di persone, un patrimonio culturale, un polmone che rischia non respirare più. Ripensateci, mandate un “segnale di vita”, finché siamo ancora in tempo.
Leo Nodari