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TremotLa ricordo bene la scossa del 6 aprile 2009. Ore 3,32, un boato strazia la terra. 23 interminabili secondi bastarono per scuotere completamente e ribaltare e ferire l’Aquila. 23 secondi, un nulla, bastarono per far spegnere le sue luci, annientare la sua storia, farla diventare buia, fredda e morta anche di giorno. Ricordo bene la paura e l’orrore anche a Teramo come ovunque in Regione per quei 23 interminabili secondi, sballottati al buio e senza capire nulla, semmai ci fosse qualcosa da capire, senza notizie e senza sicurezze tra innumerevoli incertezze. Ricordo bene quei giorni. 18mila scosse in 5 mesi. 309 vittime. 1.600 feriti. Danni gravissimi al patrimonio storico -artistico della città, le più importanti basiliche chiuse, tutti palazzi storici inagibili, il centro storico interamente lesionato. Ricordo le piazza piene di auto la notte al freddo. Ricordo quelle notti di paura. Un ricordo di quanto avvenne e fu fatto, finito anche nelle aule di giustizia. Ricordo le macerie, la polvere, il silenzio assordante, la terra che continuava a tremare anche nei giorni successivi. Lo scattare ad ogni minimo rumore. Ricordo che il termometro come oggi oscillava tra 2-4 gradi e sulle vette c'era ancora un velo bianco di neve. In auto, vestiti e con un paio di coperte era un freddo bestiale. E il termometro della panda non mentiva. Ricordo le storie che ho raccontato e vissuto piangendo. Ricordo i funerali con le bare di genitori che sorreggevano bare bianche dei figli. Ho gioito per il ritorno in vita di persone sepolte dalle macerie. Ho apprezzato un popolo che non si lamentava, che non aspettava aiuti... ma che si era già messo in piedi per sopravvivere, per ricostruire. Un vecchio mi disse: "E' la mia terra, sono i miei terremoti, come questi sono i miei monti". Tradotto: era drammaticamente normale, era il prezzo da pagare per essere nato in questo paradiso di verde, cultura e storia. Riavvolgere oggi il nastro doloroso di quel film tragico e cercare di rivederlo, fa ancora più male, perché in tutto questo tempo, qualcosa è cambiato, molte cose sono migliorate e le stanno ricostruendo, ma tante altre – compresi i paesi e frazioni vicine – assolutamente no. Tutto è stato lasciato com'era quella notte, a cominciare dalle migliaia di "nodi" - i ganci che bloccano quattro tubi nelle impalcature – che continuano a "proteggere" palazzi, chiese ed altri edifici senza portare nulla di nuovo.
Oggi la città è tornata a vivere e c'è un vivace percorso artistico culturale che rinasce, tra mostre, restauri e musei. Molti edifici sono stati ricostruiti, locali e negozi riaperti, persino lo storico Bar Nurzia in piazza Duomo, ma tanto ancora c’è da fare. Nello storico Palazzo Ardinghelli, è stata aperta la succursale del Museo Maxxi, con molti turisti che scoprono finalmente questa città Capoluogo (“ma non era Pescara?”, mi sono sentito dire sin troppe volte).
E’ vero “ci vediamo aju Boss (storica cantina locale) o sotto i portici del Rex (il vecchio cinema)”, sono frasi che non avranno mai più lo stesso valore di un tempo. Possono averne un altro, questo è ovvio e ci mancherebbe che non sia così, ma sarà sempre ‘altro’ per l’appunto, quindi diverso.
Probabilmente è stata persa l’occasione di disegnare una nuova urbanistica della città. Si potevano immaginare nuove piazze, nuovi spazi, nuovi luoghi di aggregazione. Si è scelta la strada semplice e la più breve. Ma forse, chissà, non era l’unica percorribile.
Ma L’Aquila non è morta man mano che è stata ricostruita. Rigenerata. Ed ora vive. Sigillare le sue ferite non ha significato togliere l’aria dall’anima e di quella che è “L’Aquila bella mé”. E non è stato facile. Ma la voglia di riviverla prima che la polvere diventi tappeto per passi inerti c’è sempre e piccoli/grandi passi in tal senso lo stanno in qualche maniera dimostrando. Il Gran Sasso sullo sfondo fa da cornice ad una città nuovamente piena di vita, con il corso, la Fontana Luminosa sempre in funzione, il Forte Spagnolo, le 99 Cannelle, le 99 piazze e le 99 Chiese, Collemaggio che si sta rifacendo il trucco (il prato) per la prossima perdonanza. Non sono bastati ventitré maledetti secondi ad ucciderla nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009. Le macerie ci sono come ci sono ancora i palazzi sventrati con le tende alle finestre che sventolano tra la polvere e i calcinacci, tra mobili rovinati dal sole e delle intemperie, tra ruspe, camion e operai che lavorano ininterrottamente. La chiesa simbolo, Santa Maria del Suffragio, che gli aquilani chiamano "Anime Sante", è stata restaurata e dentro ospita anche il memoriale dedicato alle 309 vittime. Qualcuno ha detto che in quella notte siamo morti tutti e un po' è vero. Ma non sono morte le radici, non si sono spenti i punti di riferimento e oggi – dopo 14 anni – sono stati ripristinati . Scuotere gli animi è fondamentale, ma trasformare in realtà il sogno della ricostruzione lo è ancora di più.
il messaggio che parte dall’Aquila, è che dopo la morte c’è la rigenerazione, c’è la vita, ci sono le comunità che dopo la sofferenza, trovano la forza di risollevarsi e di ripartire.