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Paxqua 

Il venerdì sulla sua tomba scrissero “Hic jacet”. Era stato deposto dentro il sepolcro. Dietro una pesante pietra. A vegliare due centurioni di Pilato da Bisenti. A coprirlo solo un lenzuolo di lino. Eppure all’alba della domenica, mentre la luce del primo sole spazzava l’erba coperta di rugiada, alle le donne che si recavano al sepolcro l’angelo dice. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risorto”.
Loro si interrogarono, e lo faccio anch’io 2000 anni dopo. Davanti al mistero del sepolcro vuoto mi chiedo: cosa ci dice oggi la Pasqua?
Cosa ci dice il sepolcro vuoto, l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini, fino ad allora assente. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Il sepolcro vuoto è il simbolo del dolore umano e nello stesso tempo della speranza che si spande. Il sudario evoca le sue sofferenze. La pietra rotolata lontano è il segno della vita che vince la morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Cosa chiedono oggi più di un miliardo di persone che credono in Cristo risorto. Ma soprattutto, cosa potrebbe dire un sepolcro vuoto a chi non condivide la fede e la speranza? Penso al Signore crocifisso e alle tante storie dei crocifissi. Penso a tutte le persone in difficoltà, a chi ha timore, ai padri che non sanno come sfamare la famiglia, a chi teme per il lavoro, alle madri che piangono in silenzio perché non vedono un futuro sereno per i loro figli. Penso a tutte le sofferenze che gravano sull’umanità, causate o dalla cattiveria o negligenza degli uomini. Penso ai bambini sotto le bombe.
Le parole delle tante persone che incontro, mi danno la percezione di un peso quotidiano che grava sull’uomo, di una diffusa sensazione di malessere, una fatica di vivere. È un atteggiamento che si traduce poi in un tirare avanti, un sopravvivere a se stessi piuttosto che affrontare la vita, pur, a volte, nei suoi risvolti di difficoltà, durezza, oscurità. La morte di un mio amico, un padre meraviglioso, un professionista serio, che abitava nel palazzo vicino al mio, con cui ho diviso tanti momenti di allegria, di impegno, tante passeggiate in montagna, mi ha portato ieri a pensare soprattutto ai malati, a coloro che soffrono, a coloro che non sanno a chi comunicare la loro angoscia, ai poveri, ai disperati, ai giovani senza speranze. Un popolo sterminato che cerca salvezza. Penso agli studenti che “incontrerò” martedì in rete, quegli studenti sbruffoni e timidi, così belli e fragili che si capisce che vorrebbero poter contare solo su ciò che sanno, e non su chi conoscono. E mi chiedo, oggi, proprio oggi, cosa dice un sepolcro vuoto a chi anela ad un futuro migliore, a chi si sballa per non pensare, a chi si “sfascia” con la bottiglia, a chi cerca rifugio nelle droghe, a chi cerca protezione in un angolo vuoto, a chi anela giustizia, a chi ha paura di credere, ai lavoratori sfruttati da quelli con il vestito nuovo. Fermi, increduli, davanti ad un sepolcro vuoto, penso insomma a tutti coloro che sentono nella carne la debolezza, la fragilità umana: la maggioranza degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dal vuoto abissale del suo spirito, esplodono domande spaventose. Fermi, increduli, davanti ad un sepolcro vuoto che celebra la Pasqua, la resurrezione, la redenzione dei peccati, mi vengono in mente le parole del Vangelo: Gesù risorto apparirà con i segni della passione per dire che la risurrezione non cancella la croce. Non cancellando la croce, non cancella nemmeno la sofferenza, il peccato, la malvagità e tutto quanto di negativo c’è attorno alla croce di Gesù. Perché? La risposta è importante: perché il Signore ci salva non buttando via niente di noi, ma trasformando tutto. Non cancella la sofferenza, ma le dà un senso; non cancella il peccato, ma lo rende occasione di perdono; non cancella la morte, ma la apre alla vita. Per questo allora la passione non è cancellata, non è messa tra parentesi dalla risurrezione. Dobbiamo allora celebrare tutta intera la settimana santa. Non dobbiamo saltarla per arrivare subito a Pasqua, perché ci dice che non solo i giorni belli, i gesti di amore, le realtà positive sono salvate, ma tutta la nostra vita è salvata.
Vorrei che la Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello “star bene a costo di stare male” come principio assoluto. Vorrei che il saluto e il grido “Cristo è risorto” percorresse le corsie degli ospedali. Tutto questo richiede una grande tensione di speranza.
Sperare così può essere difficile, ma non vedo altra via di uscita dai mali di questo mondo, a meno che non si voglia nascondere il volto nella sabbia e non voler vedere o pensare nulla. Più difficile è però per me esprimere che cosa può dire la Pasqua a chi non partecipa alla fede ed è curvo sotto i pesi della vita. Vedo così che c’è dentro tutti noi qualcosa di quello che san Paolo chiama «speranza contro ogni speranza» (Lettera ai Romani, 4,18), cioè una volontà e un coraggio di andare avanti malgrado tutto, anche se non si è capito il senso di quanto è avvenuto. È così che il sepolcro vuoto, l’uomo sulla croce e la risurrezione entrano nell’esperienza quotidiana di tutti. La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte, può cambiare, può risorgere. Dunque c’è sempre speranza. “Spes contra spem”. Anche quando occorre sperare contro ogni speranza.
Buona Pasqua

Leo Nodari