Il ruggito di Leo / Falcone 31 anni dopo. Occorre dire la verità
A Roma si sentiva meno in pericolo. Andava anche a pranzo da solo, alla taverna Cairoli nel ghetto ebraico, davanti al suo ufficio di via Arenula. A volte scende a volte no. A volte passeggia sul vicino lungotevere. A volte si incammina verso la vicina Trastevere. Ma non avverte mai nessuno sugli spostamenti. Usa la scorta solo per gli appuntamenti dove è prevista la sua presenza. Pochi. Torna a Palermo solo il sabato. Ma quel sabato 23 maggio la trasferta a Palermo viene annullata. Poi confermata al reparto scorte della questura di Roma nel pomeriggio alle 16.00 circa. Falcone è in partenza. Qualcuno lo sa.Viene avvertita la questura di Palermo. I tempi sono molto stretti per fare il fonogramma a Palermo, epredisporre il servizio a Palermo. Ma nel caso di Falcone non è strano. L’orario della partenza lo dice sempre all’ultimo momento ai ragazzi della scorta. Si comportava così da anni, con tutti quanti. Ma qualcuno sapeva. Chi chiamò Palermo ? Non lo sappiamo.
Ore 16,35, un volo del Sisde parte da Roma Ciampino per Palermo. Dentro ci sono Falcone e sua moglie Francesca Morvillo. Arriva puntuale alle 17,40. Qualcuno sapeva. E li stava aspettando.
17,56 minuti del 23 maggio 1992, gli strumenti dell’Istituto di Geofisica di monte Erice registrano un evento sismico con epicentro Capaci. Ma non è un terremoto, sono cinquecento chili di tritolo che fanno saltare in aria Giovanni Falcone. E’ l’inferno.
Il giudice è ancora vivo, la prima auto blindata è scaraventata a oltre cento metri di distanza e i tre poliziotti che lo seguono come ombre – Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo – non ci sono più. Muore anche Francesca Morvillo, la moglie di Giovanni Falcone. Sono feriti i poliziotti dell’altra blindata, Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello. E’ sanguinante Giuseppe Costanza, l’autista. Ore 19,00 Falcone è trasportato in ospedale. E’cosciente. E’ vivo. Arriva in ospedale Paolo Borsellino. Dopo poco dall’ospedale civico arriva la comunicazione ufficiale: Giovanni Falcone è morto. 57 giorni dopo tocca a Paolo Borsellino saltare in aria . Lui lo sapeva, lo aveva detto, lo aveva scritto, i servizi segreti lo avevano avvertito del tritolo arrivato anche per lui. Ma non volle andare via, non volle fermarsi. Oggi conosciamo i nomi di chi schiacciò il telecomando a via D’Amelio. Ma non sappiamo ne chi lo ordinò, ne perché. Non sappiamo chi aprì l’auto di Borsellino in fiamme per sottrarre la sua agenda. Ne, quindi, cosa ci fosse scritto soprattutto su quanto appreso in quei 57 giorni. E non sappiamo perché da subito e fino ad oggi uomini dello Stato, “servizi deviati” inscenarono “il più grande depistaggio della storia della Repubblica italiana”. Lo intuiamo
Sappiamo che l’ordine della strage alla manovalanza partì da Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra. Ma dobbiamo dire con chiarezza che dopo 31 anni sono ancora sconosciuti, quelli che vengono chiamati “i mandanti altri”. Ancora sconosciuto è il nome di chi avvertì che Falcone era in partenza. Per capire occorre dire la verità. Soprattutto ai più giovani. Ad esempio occorre dire che in tante regioni d’Italia sono troppe le coscienze passive, addomesticate. Sono troppi il colletti bianchi collusi. Sono troppi coloro che non vedono e non parlano. Sono troppi i timorosi tra coloro che omaggiano a parole Falcone, ma vanno a braccetto con politici corrotti, imprenditori collusi, ladri e massoni. Dobbiamo dire chiaramente che sono costoro a creare il campo da gioco adatta alle mafie.Per capire occorre dire la verità. Soprattutto ai più giovani.
In quel momento Falcone era il magistrato più amato e più odiato d’Italia. Con Borsellino al suo fianco sono i primiad aver messo paura a Cosa Nostra. Sono i primi a sbattere 420 mafiosi dietro le sbarre. Sono i primi a liberare una regione dal giogo del ricatto mafioso. Sono i primi ad entrare nei sancta sanctorum delle banche che riciclano i soldi della mafia. Sono i primi a “seguire i soldi”. Sono i primi a denunciare l’enorme giro della droga che arriva a Palermo per invadere poi l’Europa e l’America. Sono i primi ad accendere una luce di speranza. Mentre l’Italia fa i conti con il terrorismo e i ladri di Stato. Per gli italiani Falcone e Borsellino sono degli eroi.Ora, da morti,sono esaltati e osannati. Ma da vivi perdonoquasi tutte le battaglie. Detestati, denigrati, guardati con sospetto dagli stessicolleghi in toga, temuti e adulati dalla politica.Oggi sono celebrati come eroi nazionali. Oggi. Solo ora. Quando sono nella tomba. Borsellino è costretto ad andare a Marsala. Falcone resiste fra i tormenti schivando attentati dinamitardi e tranelli governativi. Per tredici lunghissimi anni provano ad annientarlo in ogni momento e in tutti i modi. Per quello che fa o per quello che non fa. Prima tremano per la forza delle sue idee, poi si impossessano della sua eredità. Ed oggi più che mai occorre dire la verità. Soprattutto ai più giovani. Occorre dire chiaramente che sono passati trentuno anni ma la violenza mafiosa e la cultura mafiosa non sono acqua passata. Purtroppo zampillano continuamente come sangue da un aneurisma che pare impossibile chiudere: basta riflettere su quanto capita ogni giornonell’indifferenza dei più.
Leo Nodari