Il secolo XIII racchiude personaggi straordinari nella storia della cristianità. Francesco d’Assisi, Domenico di Guzman, Bonaventura da Bagnoregio, Antonio da Padova, Tommaso d’Aquino, Tommaso da Sulmona. Tra questi certamente ha un ruolo di grande rilievo Pietro Angelerioche nasce in Molise intorno al 1210, da famiglia di poveri agricoltori di Isernia. Presto, non entusiasta, bussò alla porta del monastero benedettino di Faifoli per essere ammesso a vita monastica. E presto chiese di poter uscire dal monastero per votarsi all’eremo sulla Maiella dalle paurose grotte. L’idea affascinò anche qualche suo compagno di noviziato, che decise di seguirlo.Ma a Castel di Sangro una tremenda bufera di neve interruppe il viaggio e fece desistere i suoi compagni dal continuare: Pietro rimase solo. Attese la primavera in un eremo aScontrone, dove tuttora si possono osservare i resti di un importante complesso monastico. Raggiunta la Maiella, si fermò ad una grotta del monte Palleno,che oggi ospita il santuario della Madonna dell’Altare. Qui inizia la vita eremitica vera. La gente notò la straordinarietà di quella presenza e iniziò a cercare frate Pietro: tutti vogliono conoscerlo, tutti vogliono parlargli. L’ammirazione è crescente, tanti vorrebbero confessarsi da lui; ma Pietro, per la sua propensione all’umiltà, aveva deciso di non accedere alla dignità sacerdotale e di rimanere laico. Certamente non gli era lontano il modello del poverello d’Assisi. Furono proprio quelli di Palena e del circondario a pregarlo e a convincerlo a diventare sacerdote, per poter meglio rispondere ai bisogni spirituali di tutti coloro che avrebbero fatto ricorso a lui. Pietro, poco più che ventenne, iniziò il suo iter studiorum a Fossacesia. Nel 1237 fu ordinato sacerdote e subito dopo si trasferì sul Morrone per continuare la sua esperienza eremitica. La fama della sua bontà e della sua sapienza si divulga rapidamente. La gente parla di conversioni, di prodigi, di guarigioni: è considerato un santo. Pietro dovette sottrarsi a queste acclamazioni pubbliche, cercando luoghi sempre più aspri e solitarinei luoghi più impervi della Maiella. Qui Pietro stabilisce il punto di forza della sua ascesi mistica e nel frattempo alcune centinaia di uomini si unirono a lui desiderosi di vivere la sua esperienza e di averlo come maestro spirituale. Non era nelle sue intenzioni fondare una congregazione, tuttavia l’accettò e la denominò “Fratelli Penitenti dello Spirito Santo” (Celestini). Ne dettò le regole e ne sancì la rigida disciplina. La Maiella diventa la scuola di spiritualità più importante del momento: tra i docenti anche alcuni francescani. L’eremita della Maiella non si dedica solo alla meditazione ma realizzastrutture, come ospizi e mulini, si inserisce nel vivo delle dinamiche sociali attraverso una tipologia di evangelizzazione che mirava, ad esempio, all’affrancamento dei poveri dai loro padroni. Con le prime forme cooperativistiche, i poveri scoprivano l’amicizia e, conseguentemente, il benessere che li rendeva autonomi dalle periferie della città.
Frate Pietro, per la sua fama di santità e le sue virtù taumaturgiche, era largamente conosciutoanche in zone molto più distanti, in Francia, Germania, Inghilterra. Un avventuroso viaggio a piedi a Lione per perorare la causa della sua Congregazione (secondo le direttive di quel Concilio questa rischiava di essere sciolta assieme a tante altre congregazioni moderne) lo pose al centro dell’ammirazione di tutti i Padri conciliari e del pontefice Gregorio X. Di ritorno, passando per Firenze, si fermò a servire gli appestati: la città non dimenticò mai il servizio reso da frate Pietro, tanto che venne istituito un palio in suo onore. Non erano solo i poveri a conoscerlo, ma anche principi e regnanti devoti, con i quali poteva tessere rapporti diplomatici e perorare le cause dei deboli.
Celestino va riletto in questo contesto. Si diffonde l’immagine di Fra’ Pietro seminatore di speranza amato dalle folle della povera gente.
Nel 1294 la chiesa cattolica vive il periodo più nero della sua storia. Da oltre due anni i Cardinali riuniti in Conclave a Perugia non riescono ad eleggere il successore del Papa Nicolò IVdivisi sui nomi via via indicati dalle famiglie dominanti a Roma: quelle dei Principi Colonna e Orsini.Il 5 luglio 1294, dopo oltre due anni di Sede vacante, i cardinali finalmente convergono su un uomo del tutto estraneo alla Curia Romana, l'eremita abruzzese Pietro da Morrone. Digiuno di politica e lontanissimo dalle logiche del secolo, Celestino V si sente fin da subito a disagio tra i fasti di Roma, al punto che dopo soli cinque mesi comunica ai porporati la decisione di deporre la tiara. Il suo gesto apre la strada all'elezione di Bonifacio VIII, cardinale dalle notevoli doti diplomatiche, una nomina salutata dal mondo intero come provvidenziale. Come noto non è di quest'idea, però, Dante, che nel terzo canto dell' "Inferno" siriferisce proprio a Celestino con il verso "colui che fece per viltade il gran rifiuto". Ai Cardinali chiusi in conclave ne esalto’ la vita ascetica e ne racconto’ i fatti miracolosi che circondavano la sua figura. Probabilmente Pietro, che aveva allora più di 80 anni, venne anche visto dagli elettori come un Papa di transizione, un uomo buono e ingenuo, facilmente influensabilenelle scelte politiche che di li a poco andavano fatte.
Nella speranza della imminente venuta di un “Pastore Angelico” d’un Papa cioe’ di santa vita che sarebbe venuto a riformare la Chiesa e a ridonarle la purezza evangelica, in un conclave ricco di commozione che finalmente creava una elezione “Ispirata”, i Cardinali si decisero sul nome dell’ eremita Pietro. Fra’ Pietro di Morrone il 5 luglio 1294 viene eletto Papa: l’evento assunse il carattere della sensazionalità. In quel particolare momento storico la cristianità ebbe l’impressione che si fosse avverata la profezia di Gioacchino da Fiore: l’avvento di un “PastorAngelicus”. Segni convincenti furono certamente le stimmate di Francesco d’Assisi e il fatto che sul trono di Pietro sedesse, finalmente, un Pontefice Santo. Fu dura l’accettazione per Fra’ Pietro, eppure non rifiutò, ma volle essere incoronato a L’Aquila davanti alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio, da lui fatta costruire e dedicata all’Assunta. La Perdonanza fu il primo atto papale esploso nella sera della incoronazione. Non si trattò solo della remissione dei peccati ma di una vera e propria riconciliazione sociale. Infatti ordinò ed ottenne la rappacificazione delle fazioni cittadine e ingiunse allo stesso re Carlo II D’Angiò di perdonare gli Aquilani ribelli. Non si trattò, quindi, della semplice concessione di un privilegio indulgenziale ma della perentoria richiesta di un impegno morale vero.
Ma quella vita non era per lui e, deposto il pontificato, come un pesose ne tornò all’antica solitudine con un gesto di animo elevatissimo, libero da passioni, disprezzando potere, onorie le ricchezze. Re Carlo II D’Angiò esercitò delle pressioni su Celestino per farlo desistere dal suo proposito di rinuncia. Organizzò un corteo di popolo, notabili e clero che andarono a gridare e a scongiurare sotto la finestra del Papa, ma tutto inutile. Celestino era intenzionato a tornare alla sua solitudine, al suo eremo, al Morrone, in pace. Invece si aprì il capitolo più tremendo della sua vita.Un drappello di uomini della scorta di Bonifacio VIII appena eletto lo raggiunge al Morrone, per ucciderlo nella grotta. Ma Celestino non c’è più. Sulle vie dei tratturi ha raggiunto il Gargano. Vuole andare in oriente, allontanarsi definitivamente dall’intrigo politico curiale. Bonifacio trema per le sorti della chiesa e per la legittimità della sua elezione che già è messa in discussione. Si paventa uno scisma. Il popolo aizzato continua a riconoscere Celestino come Papa legittimo. Una pagina difficile nella storia della Chiesa che non sempre ha trovato intelligenza interpretativa ma piuttosto acre pregiudizio. L’amore per l’unità della Chiesa,il provvedimento di Bonifacio per evitare uno scisma di fatto, non è dissimile dall’intenzione di Celestino di allontanarsi fino alla Grecia, terra di romiti ed anacoreti, e far perdere le sue tracce. Penso che quella sottile paura che la Chiesa ha di Celestino, ancora oggi, sia dovuta proprio a questi equivoci storiografici, che le hanno impedito di godere e di gioire di una purezza di testimonianza tra le più splendenti della sua storia. La fuga di Celestino fu impedita prima dal mare in burrasca che non gli permise l’imbarco da quelle amiche coste garganiche e poi perché fu riacciuffato dai soldati dell’altro suo amico, Re Carlo.
Dopo che quest’uomo di Dio arrivò nel Castello di Fumone e venne rinchiuso nella torre di esso rese grazie a Dio e disse: “ho desiderato una cella e una cella ho avuto, così come è piaciuto alla tua pietà, Signore Dio mio”.
La sera del 19 maggio 1296 morì “il padre dei padri, il pastore dei pastori, Pietro del Morrone simbolo della nuova Chiesa, l’uomo della “rinuncia”.
LewoNodari