
Oggi per la Città di Teramo è giorno di festa. Con la tradizionale processione (18,30) e messa pontificale in cattedrale (19,00) celebra San Berardo, patrono della Città e della Diocesi e, a passi larghi, si avvicina al Natale. Che dovrebbe essere una festa religiosa, principalmente cristiana, anche se con origini nelle feste pagane del Solis Invictus e dei Saturnali. Fondamentalmente è una festa “che c’è l’ha fatta”, è diventata una festosità pop, finta e compulsiva, un modo come un altro per fare soldi. Tutto il suo immaginario oramai è fatto di bevute di Campari, falsa beneficenza, signore rifatte ridicole andanti, riunioni tra sconosciuti, pseudo amici, pseudo colleghi spesso odiati, pseudo allegre spesso tristi con l’obbligo di ridere, rossi sgargianti, e falsità imperante pieno di signore che amano Sfera Ebasta “…Museruola e collare. / Le tratto male come un cane, / vogliono che le faccio male”. Naturalmente pronte a scandalizzarsi e urlare se poi qualche fragili di mente assorbe e fa sue queste parole del noto esponente della cultura rap perfettamente adatta all’identità della città. Ogni anno inizia prima. Unico obbligo i regali inutili che mi sembrano non proprio in pendant con un bambino per cui “non c’era posto in città”, che nasce povero da due persone povere in una mangiatoia di poveri tra un bue e un asino. Afferrata e stretta dalle grinfie del consumismo, tutti in piazza tra aperitivi, borotalco e canne, porchetta e bollicine made in Cina, obbligati ad esserci non mancano i look borsa by Rocco Marocco e cappotti ValenPino. Tutti eleganti come Sfera&basta “…Ste puttane luride/ vogliono solo un cazzo che non ride, sono troieeee facili”. Che se poi qualcuno ci crede non è un problema loro.
Le origini di San Berardo erano quelle di una famiglia agiata, di stirpe nobile. Si pensa che la sua dimora familiare fosse il castello dei conti di Pagliara di Isola del Gran Sasso, omonimo del cognome familiare del Vescovo che dette illustri personaggi all’antico Regno di Napoli. I Pagliara avevano il titolo di conti ereditato dai più antichi conti dei Marsi e dominavano la Valle Siciliana che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso. Alcuni dati essenziali sulla sua vita, come la donazione dei beni personali alla Chiesa, l’inizio del mandato episcopale e la data della morte, si trovano documentate nel Cartulario della Chiesa Aprutina. Presso il castello di Pagliara oggi distrutto esisteva il monastero benedettino del Santissimo Salvatore: di qui la vocazione benedettina di Berardo. Della storia di San Berardo non si conosce molto. Tuttavia, dopo aver rifiutato in un certo senso le origini nobiliari, il santo entrò in giovane età nel monastero di Montecassino. Berardo, desideroso di maggiore raccoglimento, si ritirò nel celebre monastero di San Giovanni in Venere, in Abruzzo, del quale era stato abate Oderisio Berardi dei conti dei Marsi, suo parente, elevato poi agli onori della porpora cardinalizia da Alessandro II. Alla fine del 1115, morto Uberto, vescovo di Teramo, in virtù della fama di santità che lo accompagnava, fu chiamato a succedergli come pastore della Chiesa aprutina. Fece il suo ingresso nella chiesa cattedrale di Santa Maria Maggiore e rivestì questo incarico per sette anni a partire dal 1116, indirizzando la propria attività al soccorso dei poveri e alla pacificazione dei contrasti esistenti tra le fazioni cittadine, riformatore zelante, oltre che principe feudale giusto e prudente. Dopo aver adempiuto al suo ufficio con singolare semplicità di animo, pietà e carità di pastore, restando sempre umile, disposto al sacrificio e ad all’aiutare gli altri. Quale altro Vescovo di Teramo buono, umile e caritatevole vi ricorda ?. Quale altro Vescovo di Teramo sempre disponibile vi ricorda ? Iniziò il suo incarico nell’anno 1116. Nel corso della sua nomina, San Berardo si dedicò anche nell’aiutare i poveri e coloro che non godevano di buona salute. Desideroso di vita austera e raccolta, amava ritirarsi in solitudine. Però i suoi numerosissimi atti di carità, miracoli e guarigioni, le sue eccelse virtù e profezie lo resero così famoso, che, fu coniato questo epigramma: "monaco per scelta". Instancabile missionario fu il padre dei poveri. Era identificato come un vero e proprio salvatore, e chiunque in sua compagnia si sentiva ristorato dal punto di vista emotivo e spirituale. E NON POSSIAMO QUI NON RICORDARE UN ALTRO Vescovo di Teramo uguale uguale. In un paio di occasioni, il pronto intervento di San Berardo contribuì anche a far finire dissapori cittadini e rivolte. San Berardo morì nell’anno 1122 e la sua morte fu un duro colpo per i cittadini e fedeli che lo avevano sempre considerato un vero e proprio punto di riferimento.
L'ultima ricognizione della tomba fu effettuata al tempo dell'episcopato di monsignor Micozzi. Fanno eccezione due sole parti del corpo del santo, custodite all'interno dei due reliquiari d'argento, il "braccio benedicente" e il busto , conservati in una cassetta di sicurezza ed esposti al pubblico in occasione della festa del santo. Al santo sono attribuiti numerosi miracoli in relazione ai quali si è sviluppata tutta la sua iconografia. Una statua in pietra che lo raffigura e che un tempo sovrastava la cripta come signaculum del corpo ivi conservato, è ubicata sulla sommità della cappella dedicata al santo. All'interno della sacrestia raffigurano San Berardo la pala d'altare del pittore polacco Sebastiano Majeski , dal titolo “I miracoli di San Berardo”, la tela del pittore Bonolis raffigurante la liberazione della città di Teramo dall'assedio del duca di Atri ad opera della Vergine Maria e di San Berardo e numerose altre raffigurazioni. Cospicua e varia è la raccolta di incisioni e stampe votive prodotte nel corso degli anni e ricostruibile sulla base della voce Berardo da Pagliara, redatta da Raffaele Aurini che a tutt'oggi rappresenta il più completo corpus bibliografico ed iconografico esistente. Come scrive la professoressa Alessandra Gasparroni – da cui copio - la richiesta di aiuto e le preghiere rivolte ai protettori, un tempo, cadenzavano la vita quotidiana della città, il senso di identità si concretizzava nella comune partecipazione agli eventi tragici o lieti attraverso le vie e le piazze; spesso si trattava di gesti o giaculatorie che esorcizzavano la paura di quello che sarebbe potuto accadere e che non poteva essere previsto. Proprio come oggi quando di avverte un forte senso di identità che unisce in un unicum San Berardo e Sfera e Basta, i riti natalizi e le feste con la porchetta in piazza, in una città silente, complice , abituata a un quotidiano silenzio che aleggia per le strade. Un silenzio che non è solo fisico, ma anche culturale, spirituale, umano. Un silenzio fatto di vuoti, di assenze che si notano soprattutto nei giorni in cui una volta si respirava festa, comunità, tradizione, quei momenti comunitari oggi idealmente riempiti da insulti misogini e canzoni blasfeme, sessiste e violente tanto amate dai fini intellettuale che determinano le scelte che chiamano “culturali” teramane e che – chi lo dubita - richiamano esattamente momenti che per decenni – e per alcune generazioni anche secoli – hanno rappresentato non solo la devozione popolare, ma anche l’identità viva della nostra città. Oggi, invece, sembrano essere solo un ricordo. Sbiadito . Un pò amaro.
Leo Nodari

