
Arriva la neve. L’autunno finisce e si apre l’inverno. Cade ogni anno tra il 21 e il 22 dicembre Il solstizio d'inverno da il via all'inizio della stagione più fredda. Fin dagli albori della civiltà, i solstizi costituiscono i momenti in cui l’incedere della luce avanza o indietreggia: essi rappresentano i simboli viventi della tradizione, dei valori identitari immortali, di una lotta interiore ed esteriore per tutti coloro che sentono in sé il richiamo dei princìpi cosmici che sottendono all’esistenza. Siamo alla lotta tra il buio e la luce. Attorno a questo momento di passaggio ruotano diverse tradizioni e leggende molto antiche un momento di grande significato nella tradizione e nella natura. Sin dai tempi antichi, il solstizio d'inverno caratterizzato dalla notte più lunga dell’anno è stato celebrato in tutto il mondo con riti identitari fatti di onore e fedeltà , retaggi antichissimi, archetipi ancestrali, riti perenni che onorano la luce, la natura e il ciclo della vita, come i Saturnali romani, che celebravano la rinascita. Le cime d’Appennino sono il tempio, di questo silenzio fragoroso, che ti rimbomba dentro quando si spengono tutte le altre voci e i rumori di fondo, inutili perlopiù, nella consapevolezza di essere parte di un evento astronomico come il solstizio, ma anche – più semplicemente – di far parte di un’aurora che sale dal Gran Sasso mentre da tutto il mondo migliaia di persone ogni anno si ritrovano nel neolitico sito archeologico di Stonehenge . "Druidi moderni" che celebrano riti a metà tra la rievocazione storica e folklore.
“Quando sembra che tutto sia perduto, che l’Oscurità stia vincendo, che non ci sia nessuna possibilità di uscita, ecco che la Luce, partendo da una piccola fiammella riprende vigore, vita e lentamente comincia a crescere fino alla vittoria finale del solstizio”. E’ la stessa lotta fra luce e buio che ogni anno si ripete in mille forme. Da qui la parola “Sol-stitium”, “il sole si ferma”, la sensazione della fine, una prospettiva di buio e freddo irreversibile. Una notte eterna. Probabilmente i primi uomini che hanno provato questa sensazione hanno ceduto al terrore e alla disperazione, come fecero gli europei allo scoccare dell’anno mille e poi duemila.
Qualcuno, decine di migliaia di anni fa o forse ancora di più, decise di non arrendersi alla disperazione e al terrore, al buio e al freddo. Accese una torcia e salì su un’altura e lì fece un falò più alto possibile, affinché la sua luce si vedesse da lontano e anche dal cielo. E forse pensò che è meglio accendere una candela che maledire l’oscurità. E in molti lo imitarono, tanto da replicare su monti e colline l’intero firmamento. Perché , in mille situazioni diverse, si può cedere alla disperazione e alla paura, oppure combattere e comunque non mollare. E molti altri piantarono la loro torcia sul monte sperando che Lui la vedesse, per dirgli: “fossi anche l’unico, sappi che qui ce n’è ancora uno pronto a combattere per te”.
Il solstizio d’inverno ci invita a capire che nel tempo che ci è concesso di vivere, occorre provare a recuperare una visione del mondo, leggere, studiare, pensare, progettare, cercare di costruire l’idea nuova e antichissima di una società aperta, viva, giusta basata su valori forti sul modello di quelle tradizionali e identitarie. Onore, fedeltà, giustizia sociale. Certo saranno necessarie altre transizioni ed azioni essenziali, semplici, misteriose come il sorgere del sole e limpide come le aurore: occorre un cambio di prospettiva culturale. Può darsi che i solstizi, con i loro silenzi nei quali tutto sembra fermarsi per concedere ai viandanti il tempo di interrogarsi, e le cime d’Appennino che ne sono il miglior osservatorio, servano dunque ancora qualcosa.
Scriveva Marcello Veneziani che la tradizione è una bussola,. E la bussola in sé non garantisce né il buon tempo, né la buona navigazione e nemmeno la certezza del buon approdo. Ma ci fa conoscere dove siamo, ci fa sapere di più sulla nostra provenienza e ci aiuta a navigare in vista della nostra destinazione. E, diminuendo i rischi del naufragio, dà una preziosa risorsa per destreggiarsi tra i flutti, le correnti e le maree. Il mare continua a blandire o a minacciare, rischia di sommergere, di capovolgere l’imbarcazione o disperderci, ma è importante sapere che si sta seguendo una rotta. Sapendo sempre, avendo ben chiaro sempre che il bandolo della matassa è nelle mani degli dei. Sapendo che a volte occorre attendere anni per raggiungere i propri progetti. Sapendo che nessuno ci aiuterà se non noi stessi. Avendo chiaro che la luce non arriverà presto. Ma arriverà. Questo è certo. Perché le radici profonde non gelano.
Leo Nodari

