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In Italia parlare di educazione sessuale e sentimentale nelle scuole è ancora un tabù. Eppure, negli ultimi anni, la cronaca ha reso evidente quanto sia urgente colmare questo vuoto educativo. I femminicidi di Giulia Cecchettin (2023) e, più recentemente, quelli di Ilaria Sula e Sara Campanella (2024), uccise da due coetanei, hanno riacceso il dibattito e spinto migliaia di studenti e studentesse a chiedere programmi scolastici capaci di educare al rispetto e alla consapevolezza nelle relazioni.
Un Paese indietro in Europa
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei dove non esistono corsi obbligatori di educazione sessuale nelle scuole. Le attività sono affidate all’iniziativa dei singoli istituti, con evidenti disuguaglianze tra territori e tra chi ha la fortuna di incontrare insegnanti sensibili al tema e chi no. Secondo un sondaggio di Save the Children (2024), meno della metà degli adolescenti italiani ha ricevuto un’educazione sessuale a scuola.
Eppure, l’interesse dei ragazzi è chiaro: un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato che solo il 6% degli studenti pensa che la scuola non debba occuparsi di questi temi. La maggioranza chiede di iniziare già alle medie, e una parte significativa già dalla scuola primaria.
Norme e linee guida ci sono, ma restano sulla carta
Negli ultimi decenni, i tentativi politici non sono mancati. Dal 1975 a oggi sono state presentate almeno 16 proposte di legge per introdurre l’educazione sessuale a scuola. Nessuna è mai stata approvata.
Eppure la Costituzione (art. 3), la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 21) e la Convenzione di Istanbul – ratificata dall’Italia nel 2013 – indicano chiaramente la necessità di prevenire discriminazioni e violenze anche attraverso percorsi educativi. La Legge 107/2015 e le linee guida “Educare al rispetto” del 2017 hanno aperto la strada alla promozione della parità di genere, ma senza mai trasformarsi in un insegnamento strutturato e curricolare.
Nel 2023, sull’onda del caso Cecchettin, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha lanciato il piano “Educare alle relazioni”. Un progetto extracurricolare, facoltativo, da 30 ore annue per le scuole superiori, sostenuto da 15 milioni di euro di fondi POC. Un passo in avanti, ma giudicato insufficiente dagli esperti, che continuano a chiedere un vero programma di Comprehensive Sexuality Education (CSE), come raccomandato da UNESCO e OMS.
Educazione al consenso e prevenzione delle violenze
Non si tratta di “insegnare il sesso a scuola”, come sostengono alcune voci contrarie, spesso legate a organizzazioni ultraconservatrici. La CSE – già adottata in molti Paesi europei – è un approccio globale che affronta il tema con linguaggio e contenuti adeguati all’età: dalla conoscenza del proprio corpo al rispetto delle emozioni, dall’importanza del consenso al contrasto degli stereotipi di genere.
L’Organizzazione mondiale della sanità lo definisce un intervento di salute pubblica efficace nella prevenzione delle violenze e delle gravidanze indesiderate. E al centro di questo percorso c’è il consenso: imparare che dire “sì” o “no” deve essere sempre una scelta libera e consapevole.
Perché partire dalla scuola dell’infanzia
Gli esperti concordano: l’educazione deve cominciare presto, già nella scuola dell’infanzia. Non per parlare di sessualità in senso adulto, ma per insegnare ai bambini a riconoscere e rispettare i propri confini, dare un nome alle emozioni e imparare che nessuno può imporre comportamenti che non si desiderano.
È così che si costruisce una generazione capace di vivere relazioni sane, libere da narcisismi, gelosie possessive e violenze.
Una scelta di civiltà
In un Paese in cui i dati del Ministero dell’Interno mostrano un aumento dei femminicidi, continuare a rinviare l’introduzione dell’educazione sessuale a scuola significa ignorare una delle principali strade di prevenzione.
Non basta affidarsi a progetti extracurricolari e volontari. Serve una legge che renda l’educazione sessuale e affettiva parte integrante dei programmi scolastici, al pari dell’educazione civica.
Perché parlare di sessualità e sentimenti significa parlare di rispetto, diritti e cittadinanza. È un investimento sul futuro, che l’Italia non può più permettersi di rimandare.
MANOLA DI PASQUALE