Bruno Tognolini è nato a Cagliari, si è laureato al DAMS di Bologna, la città dove vive attualmente.
Ha lavorato nel teatro con Vacis, Paolini, Baliani. In televisione è stato per anni tra gli autori dell’Albero azzurro ed è tra gli ideatori e gli autori della Melevisione
Dal 1991 a oggi ha scritto libri per bambini, romanzi, racconti, poesie, filastrocche con Salani, Giunti, Mondadori, Rai-Eri, Pangea.
Nel 2012 è venuto a Teramo per il “ Premio il Faro” della Scuola elementare “Noè Lucidi”.
Lo abbiamo raggiunto per rivolgergli alcune domande
“Ho lottato con le parole… le ho attese in lentissimi agguati…eccole chiuse tra cuore e gola” . Le parole sono chiuse tra cuore e gola?
Quando ho scritto, mi riferivo a una ostinata balbuzie infantile e giovanile, in questo senso ho lottato con le parole che non volevano uscire e trovavano un ostacolo tra cuore e gola. In quello spazio andavano e venivano e si mescolavano con qualcosa di molto fecondo, altre parole che leggevo, “vendemmia stupenda di parole” che gira per il mondo, che dicono storie o poesie che cercavano una via tra cuore e gola .Nella gola, nella bocca c’era, per quel che riguarda me, “ un inghippo”, ho trovato poi una risposta con Ariosto , quando parla della gelosia di Orlando: “ L’impetuosa doglia entro rimase, che volea tutta uscir con troppa fretta. Così veggiàn restar l’acqua nel vase, che largo il ventre e la bocca abbia stretta, che nel voltar che si fa in su la base, l’umor che vorria uscir, tanto s’affretta, e ne l’angusta via tanto s’intrica, ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica”. Ho letto questa ottava e ho pensato ecco cos’è, una dismisura tra il contenuto che si vuol dire e “la bocca stretta”. Si potrebbe fare quasi un discorso mistico: chi siamo noi piccolini e stretti per poter dire il mondo stupendo, gigantesco e meraviglioso , la parola “si ingorga” esce a fatica. C’è questo rapporto tra le parole stupende e troppe che invece di uscire in modo ordinato “si ingorgano”, occorre fare una fila ordinata, armonica, disporle” goccia a goccia: in metro in rima in strofa endecasillabi, settenari, prosa incantata”.
Lei ha detto : “Se uno scrive davvero per i bambini scrive per tutti, ma non vale viceversa, secondo me”…
Lo sottoscrivo perché i bambini sono “esseri staminali” come le cellule staminali, totipotenti si dice, cioè in grado di evolvere verso ogni tipo di “specializzazione”. I bambini hanno un fermento elementare che sono le radici dell’uomo, sono il seme che può di nuovo rigenerare il nuovo albero, il ramo no. Chi scrive per bambini sul serio, scrive per tutti, anche perché semplicemente le cose per i bambini è giusto e lecito che le leggano tutti, non viceversa, perché non tutto si può raccontare ai bambini
Lei conosce l’arte delle filastrocche, le sue filastrocche sono originali, diverse, si capisce subito chi è l’autore. Come si insegna a scrivere filastrocche ai bambini, c’è un punto di partenza?
Certo, è la non scrittura, l’oralità che deve mescolarsi con la scrittura, devono incontrarsi in un connubio. Nei miei incontri faccio sentire una ricchissima collezione di filastrocche di gioco dei bambini , sono stupende, con tutte le varianti “ mi chiamo Renzo, Lorenzo , mi chiamo Lola e sono spagnola, mi chiamo Piero scivola ,scivola...”
Poi ho tutte le filastrocche dei dialetti meravigliosi, ho quelle arabe, cinesi.
Che cosa hanno in comune tutte queste filastrocche? Che sono stupende hanno un ritmo preciso, quando si scrivono non sono così belle perché scrivere è un’operazione diversa. Quasi sempre, quando vado nelle scuole, trovo la filastrocca: “E’ arrivato Tognolini che è l’amico dei bambini…” ma i bambini sono capaci di ben altro ,sia come contenuto che come forma. Come forma, magicamente, perdono il ritmo che era fortissimo nella filastrocca orale. Io consiglio: lavorare sia sulle filastrocche, le mie o di altri autori, che hanno quantità metriche precise, lavorare sulle loro di gioco per far capire perché l’abilità metrica va perduta quando si scrivono e come recuperarla. Un consiglio è vedere se le filastrocche che scrivono funzionano come conte, potrebbe essere un trucco, o fargli vedere se quelle che fanno per gioco assomigliano alle mie .
“Viaggia verso: poesie nelle tasche dei jeans”. Ci sono strategie per avvicinare i ragazzi alla passione per la poesia?
Un po’ ci sono già vicini loro ma non lo sanno. I ragazzi reinventano la lingua, la elaborano , la faticano, la cambiano, la giocano, se riuscissero a capire che la poesia è anche questo sarebbe importante. Anche il rap è una forma di poesia metrica che sembrava scomparsa, anche quando reinventano il gergo giovanile con figure retoriche per divertirsi, bisogna aiutarli a ravvicinare questa loro esperienza.
Ne ho parlato anche alla Fiera del libro a Bologna, il 2 aprile, ho detto che la poesia è al centro dell’anima, gli adolescenti stanno scoprendo la loro anima fanno a pugni e abbracci perché è una novità. I bambini quasi sono la loro anima, gli adolescenti sono staccati dalla loro anima. Io uso questa metafora : l’anima è un posto immenso, una landa sconfinata e lontana. Noi conosciamo una parte minuscola di questo nostro Impero. Siamo il Kubilai Kahn, abitiamo nella Capitale, conosciamo soltanto le sue vie, i suoi Giardini e le sue Regge. I poeti sono i nostri Marco Polo, che noi mandiamo nelle remotissime periferie del nostro Impero perché vadano e ritornino e raccontino. I poeti sono i nostri ambasciatori della notte, vanno nella notte del mondo e in quella della nostra anima, e tornano per dirci quello che hanno visto. Sempre che tornino perché quei posti sono pericolosi (non a caso noi ci andiamo così poco, e senza spingerci troppo in là): spesso gli ambasciatori tornano un po’ malconci, e qualcuno ci ha rimesso anche le penne. Naturalmente, quando tornano belli in forma (cosa che per fortuna accade il più delle volte), perché ciò che ci riferiscono sia veramente qualcosa che viene da laggiù, devono dircelo nella lingua di laggiù, la lingua dell’anima: la poesia. Anche gli psicologi, gli psicoanalisti, i neuroscienziati fanno immersioni profonde nelle periferie dell’anima ma poi raccontano quello che hanno visto con la lingua di quassù, la lingua della Capitale. È cosa utile e buona, beninteso, però è un’altra cosa, i poeti ci spiegano come sono i confini delle nostre anime e lo dicono con la lingua della periferia dell’anima che è una lingua sacra, è la lingua della poesia.
Quale autore è stato importante nella sua formazione?
Tanti, il primo che ricordo è Pavese quello delle poesie, mi aveva incantato un suo ritmo e poi mettendo insieme delle nozioni mi sono reso conto che i suoi versi sono stati il primo incantamento,sono “frutti d’amore” i poeti si “incantano” gli uni degli altri senza neanche accorgersene. L’incanto ritmico veniva da Pavese e Quasimodo, l’incanto narrativo da Borges per l’austera autorevolezza della prosa, frasi corte e affermative, c’è stato un tempo in cui anch’io scrivevo in questo modo. Poi c’è Gianni Cerati, mio insegnante di inglese, non notissimo ma a me molto caro.
Sono stato segnato da imitazioni, stupenda risorsa per l’apprendimento, finché uno non trova “lo bello Stilo che m’ha fatto onore”. Mi piaceva ascoltarli perché “suonavano stupendamente”.
Agli insegnanti diciamo che...
Bisogna convincere i ragazzi a conoscere, non può che fare bene, non tutto è facile, bisogna impegnarsi, come diceva Montale nella poesia “Un mese tra i bambini” : “I bambini non hanno amor di Dio e opinioni./ Se scoprono la finocchiona/sputano pappe e emulsioni”.
intervista di Anna Brandiferro