Roberto Michilli è nato a Campli nel 1949. Vive a Teramo. Ha pubblicato le raccolte di poesie Aprire un giorno, Attraverso la vita, Nuovi versi, i romanzi Desideri ,Fate il vostro gioco, La più bella del reame, Il sogno di ogni uomo, Atlante con figure, L’attesa della felicità. È presente nei libri collettivi di poesia 4 poeti abruzzesi (2004) e L’orma lieve (2011). Si interessa di letteratura francese e russa del XIX secolo. Ha tradotto e curato una raccolta delle poesie di Lermontov (Quaranta poesie). Nel 2014 il libro ha ricevuto la Menzione d’Onore alla VIII edizione del premio letterario internazionale “Russia-Italia. Attraverso i secoli”. È nella giuria del premio Teramo dal 2006, e dal 2007 al 2012 ha curato la rassegna “Perché i poeti…”, inserita nel progetto culturale “Teramo città aperta al mondo”. Dal 2010 ha un blog: larmegliamori.wordpress.com.
Roberto, da Lermontov a Flaubert, perché hai deciso di tradurre “La leggenda di San Giuliano l’ospitaliere ?
Con i libri su Lérmontov e Flaubert, e prima ancora con quello su Pontiggia, ho pagato antichi debiti di gratitudine verso autori che mi hanno toccato profondamente con le loro opere e sono stati importanti per la mia formazione. Lérmontov e Flaubert mi hanno emozionato nell’adolescenza e da allora li porto sempre con me; Pontiggia è venuto dopo. Lo considero il più importante scrittore italiano del secondo Novecento, e già ne ammiravo le opere quando ancora non avevo cominciato a scrivere. Per me svettava al di sopra di tutti i suoi contemporanei per cultura, stile e tecnica. Ma poi, nel momento in cui ho iniziato il mio apprendistato di scrittore, è diventato un punto di riferimento imprescindibile, e un maestro saggio e sapiente attraverso i suoi scritti. Con la mia vittoria nel Premio Teramo ho avuto la fortuna di conoscerlo, ed è nata tra noi un’amicizia crudelmente interrotta dalla sua morte improvvisa e prematura. Ha fatto in tempo ad ogni modo a diventare un Maestro in carne e ossa, perché parlandoci e intrattenendo con lui una corrispondenza ho potuto costruirmi una mia personale concezione della scrittura, capire che cosa scrivere e come farlo.Il passaggio dal russo al francese è dovuto semplicemente al passaggio da un autore all’altro. Ne avrei altri ai quali rendere omaggio, Byron e Stendhal, per citare dei nomi, ma dubito che riuscirò a farlo. I due libri su Lemontov e quello su Flaubert mi sono costati nove anni di intensissimo lavoro, e oggi non mi sento più le energie necessarie per intraprendere avventure del genere.Non si traduce per mestiere lo si fa per amore di un autore e della sua lingua, e anche perché non ci convincono le traduzioni esistenti. Nel caso di Flaubert, La leggenda di San Giuliano l’Ospitaliere, come credo di avere dimostrato nel mio libro, nasconde profondità inimmaginabili sotto la sua apparenza di favola ingenua e lo smalto da miniatura di codice medievale. È in realtà un testo complesso, febbrile, enigmatico, ambiguo e crudele, e proprio per questo coinvolgente, indecifrabile, inquietante. Un testo che permette di scrutare negli abissi dell’opera e della vita di Flaubert, e forse non solo della sua, e che pertanto ha bisogno di una traduzione precisa, attenta, che metta in evidenza tutte le numerose particolarità lessicali e stilistiche di cui si è servito Flaubert e soprattutto traduca quello che lui ha scritto e solo quello. Tutto questo a mio avviso non si riscontra nelle pur numerose traduzioni esistenti, che in alcuni casi sembrano tirate via e in molti altri si permettono licenze ingiustificabili. Traduco da quando ero ragazzo. Ho cominciato a diciassette anni aiutando un amico che stava preparando la tesi a tradurre un libro di matematica dall’inglese, e non ho mai smesso. Ho potuto formarmi così per mezzo di una lunga esperienza e di studi specifici una mia idea di come si debba tradurre, e cioè rispettando in modo assoluto il testo di partenza, e con umiltà e spirito di servizio nei confronti dell’autore. Tradurre è stato un aspetto importante della mia formazione come scrittore. Un esercizio che raccomando a chiunque si voglia mettere su questa impervia strada. Molte delle traduzioni intraprese non le ho portate a termine: L’isola del tesoro, Madame Bovary, i racconti di Hemingway e quelli di Villier de L’Isle-Adam, ma l’esercizio è stato in ogni caso di grandissima utilità.
Roberto Michilli nasce come poeta poi passa ai racconti e infine ai romanzi, ma scrivi ancora poesie?
Ci tengo a precisare che non sono un poeta, ma solo un narratore che in un certo periodo della sua vita ha scritto dei versi e poi, rinsavito, ha smesso. Questo è un tempo di povertà. Ci sono alcuni milioni di poeti o sedicenti tali, in circolazione, però la stragrande maggior parte di loro ha risposto a chiamate che nessuno si è sognato di fare. Nell’insieme creano un rumore di fondo che copre anche le poche voci originali. Meglio tenersi alla larga dal mucchio selvaggio.
Tiziano Scarpa, che ha curato la prefazione del tuo libro "Atlante con figure", ha scritto “ogni oggetto che Michilli recupera nella memoria…è al tempo stesso struggente e implacabile, perché è un lenimento e una ferita; è una visione dolce e un bagliore lancinante; è una commozione e una disperazione…” che ne pensi?
Tiziano ha scritto cose estremamente lusinghiere su quel mio lavoro, ma sono considerazioni di un critico benevolo che lo guarda dall’esterno. Per quanto mi riguarda, in Atlante ho raccolto avvenimenti ed emozioni da essi suscitate che porto scritti nella carne. Molto più di semplici ricordi, pertanto. Marcel Proust ha scritto che tutti potremmo essere grandi scrittori se solo avessimo la capacità di ripiegarci su noi stessi per sforzarci di ritrovare sopra la nostra anima i segni che ci ha lasciato la vita, l’infanzia soprattutto. È un’operazione difficile e dolorosa, lo posso testimoniare. Ho dovuto aspettare anni prima di trovare il coraggio e la forza per affrontare e descrivere alcune situazioni che anche a distanza di decenni mi emozionavano e mi commuovevano. E mi commuovo e mi emoziono ancora adesso rileggendoli, perché il libro racconta un mondo ormai scomparso, e negli ultimi anni se ne sono andati alcuni dei pochi preziosi amici di quegli anni che insieme a me ancora lo ricordano. Un altro lettore di eccezione, il filosofo Fabio Brotto, che mi segue fin dai tempi di Desideri, il mio romanzo d’esordio, ha colto questo aspetto del mio lavoro, forse per consonanza anagrafica, visto che siamo coetanei: “Michilli è spinto a scrivere dei suoi anni di bambino e ragazzo da un insopprimibile bisogno di salvare, nell’unico modo possibile, un mondo…Quel mondo perduto rimane nella memoria di chi lo ha vissuto, vive ancora una sua vita crepuscolare nella sua memoria, e come realtà vivente sparirà con lui. E qua e là in Atlante con figure Michilli ci fa capire che, insieme a quel mondo, è tramontata anche la sua felicità”.
Anna Brandiferro