Vincitore della sezione romanzi, della IX edizione del Premio Letterario Nazionale Franza Kafka Italia, è Giovani Di Saverio con “ La morte del poeta” ( Macerata ed. Montag 2018).
Il premio, in onore di Franz Kafka, è nato in Friuli Venezia Giulia e “vuole esaltare l’importanza dell’arte letteraria nella cultura e nella civiltà umana, e riconoscere e premiare l’attività di coloro che si dedicano all’espressione dei contenuti della loro fantasia”.
Abbiamo chiesto a Di Saverio, docente del Liceo “G. Milli” di Teramo, di raccontarci questa esperienza.
Hai vinto il Primo premio con il tuo romanzo, che ne pensi?
Non nego di essere stato sorpreso dalla notizia, oltre che onorato dall'apprendere che il mio lavoro sia stato ritenuto il più meritevole tra tanti che partecipano ogni anno a questo Premio letterario. Mai mi sarei aspettato un simile risultato, anche se sarei ipocrita a non ammettere che un po' ci speravo. Ciascuno ha le proprie velleità artistiche e la mia è forse quella di andare alla ricerca di un pubblico disinteressato, lontano dalla cerchia di amici e conoscenti, che sia perciò in grado di esprimersi liberamente sul reale valore letterario di ciò che scrivo. Come sempre l'importante è partecipare; se poi si vince, come in questo caso certo è meglio, ma a parte la soddisfazione del momento non bisogna farsi troppe illusioni: il mestiere di scrittore non è affatto semplice da intraprendere.
Puoi dirci in sintesi di che cosa parla “La morte del poeta”?
A me piace definirlo un puro e semplice esercizio di stile, con il quale ho cercato di rendere omaggio ai miei personalissimi riferimenti artistici. Potrebbe essere vista anche come una grande “citazione” narrativa, nella quale, confesso, ho fatto molta fatica a far rimanere a galla i miei personaggi, proprio perché i termini di riferimento che mi sono imposto appartengono tutti alla letteratura di un certo livello. L'impostazione di fondo è quella di un romanzo giallo in cui si deve venire a capo di una misteriosa scomparsa che pian piano ci si rende conto essere avvenuta non “fuori” nel mondo, ma “dentro” un mondo; un universo che appartiene al singolo e non all'umanità tutta. Potrebbe anche essere definito una sorta di romanzo psicologico, anche se in origine le mie intenzioni erano quelle di raccontare un rito di passaggio; la transizione tra l'adolescenza e l'età adulta che per molti, come nel mio caso, si è concretizzata con il passaggio dalla poesia alla prosa. Benedetto Croce diceva che da giovani tutti abbiamo scritto delle poesie, ma poi da adulti continuano a scriverle solo due categorie di persone: gli idioti e i poeti. Basini, il protagonista della mia storia, ad un certo punto si rende conto di appartenere al primo gruppo di individui, ed allora cerca di fare del suo meglio per trovare una sua personale redenzione.
Quando hai cominciato a scrivere?
Io non mi considero uno scrittore e per questo posso dire di non aver mai veramente iniziato a scrivere. Lo faccio da sempre, più che altro nei ritagli di tempo, quando cerco di rimettere in ordine qualche pensiero. Non mi sono mai seduto a tavolino e mi sono detto: “ora devo per forza mettere giù qualcosa!” Considero la scrittura un momento assai intimo, che nel mio caso particolare ha anche un grande valore terapeutico; in certi momenti aiuta a fare chiarezza con tutto quello che passa nella testa e se fossi un medico la prescriverei come anti-depressivo.
Tu vivi in un paese bellissimo sui Monti della Laga, quanto è importante questo luogo per la tua ispirazione?
Più che dai luoghi l'ispirazione viene dalle persone. Di certo la tranquillità aiuta e avere un sano senso della terra impedisce alla testa di non perdersi tra le nuvole. Ho sempre pensato che non è il posto in cui si vive che influenza il modo di vedere le cose, semmai il contrario, anche se non la penserei così se non vivessi tra queste montagne.
A chi dedichi il premio ?
La parola sacrificio può sembrare eccessiva, ma mettere nero su bianco i propri pensieri e le proprie emozioni non è cosa facile, almeno per me, e per questo motivo questo riconoscimento lo dedico a me stesso, l'unico che in fondo ci ha sempre creduto veramente.
Anna Brandiferro