Dedichiamo il primo articolo del 2020 della rubrica “Pagine e parole”alla scrittrice Dacia Maraini ospite, nel mese di dicembre, all’Università di Teramo per incontrare gli alunni del quinto anno delle scuole superiori.
Riportiamo alcuni passaggi del dialogo della Maraini con gli studenti.
“Dirò pochissime parole- ha detto la Maraini- perchépreferisco parlare subito con gli studenti. Vorrei però soffermarmi sugli intellettuali…
Intellettuali è una parola molto ampia, sono tantissimi, gli scrittori maanche tutti gli insegnanti sono intellettuali. Tutti quelli che hanno a che vedere con il mondo delle idee sono intellettuali e, sono importantissimi.Il nostro paese è molto ricco da questo punto di vista.Qual è lo scopo dell’intellettuale? Quello di creare consapevolezza, non credo che sia lì per cambiare il mondo, il suo compito è creare consapevolezza. Ma come si crea consapevolezza? Attraverso l’approfondimento, cioèdare corpo alle idee.
Mi soffermerei un attimo soltanto per distinguere tra informazione e formazione, credo che questo sia alla base di tutto.
Siamo sovraccarichi di informazioni che ci arrivano attraversotutti gli strumenti che abbiamo eche prima non avevamo: telefonino, tablet,computer…Abbiamo tante informazioni, però non bisogna confonderlacon la formazione.
L’informazione è una linea orizzontale, è ampia, si può essere più o meno informati, la formazione è una linea verticale che va in profondità. Molti pensano che siccome sono informati sono anche formati, ma non è così.
La scuola, le università, devono formare il cittadino, le persone, non dare informazioni soltanto.
Bisogna prima di tutto andare a fondo, cercare di approfondire le idee, il rapporto con la storia, con il potere, il rapporto con la narrazione di noi stessi, il rapporto con la consapevolezza.
Noi vediamo che molte deviazioni che, secondo me, sono pericolose derivano da una mancanza di formazione non di informazione.Siamo tutti informatissimi, ma chi nega quello che è successo nella storia recente mostra una mancanza di formazione, di approfondimento.
Quindi l’intellettuale deve, secondo me, sempre andare a fondo e cercare la formazione, cercare di capire meglio e farsi sempre domande, non credere nelle verità rivelate, ma mettere tutto in dubbio e farsi domande.
Lo scrittore è quello che deve fare i conti con il cambiamento del linguaggio tenendo conto delle modificazioni.
Faccio un esempio : l’uso che noi facciamo delle parole inglesi, che soprattutto i tecnocrati fanno, secondo me è deleterio perché l’identità di un paese sta nella lingua che esprime un pensiero, una tradizione. Bisogna parlare l’inglese perché è la lingua dei“movimenti”, nel senso di muoversi , però noi eccediamo. La nostra lingua va approfondita nella sua bellezza, l’italiano è la quarta lingua studiata al mondo e allora dovremmo essere orgogliosi, arricchirla con nuove parole che nascano dalla conoscenza e dall’amore per l’italiano.
Quali persone sono state importanti per la sua formazione?
Prima di tutto vengono mia madre e mio padre perché sono stati quelli che mi hanno dato l’esempio di obbedienza e fedeltà alle proprie idee. Quando noi eravamo in Giappone e nel 1943 hanno chiesto agli italiani di firmare per la repubblica di Salò, mio padre e mia madre hanno detto no, perché erano contro il razzismo, non per ragioni politiche e allora… siamo andati in campo di concentramento: padre, madre e tre bambine, io avevo sei anni.
Quindi il primo grande esempio di onestà intellettuale mi viene dalla famiglia.
Molti hanno criticato perché hanno messo in pericolo la vita delle bambine. Io, invece, sono contenta perché mi hanno dato un esempio che è stato per me fondamentale.
Quali esperienze della sua vita sono state incisive?
L’esperienza più incisiva della mia vita è stato il campo di concentramento. Due anni di campo di concentramento importanti, anche se ero bambina. Noi morivamo di fame e avevamo le malattie della fame perdevamo i capelli, perdevamo i denti, c’erano i parassiti. La fame quando dura e non magi carne, pesce, verdura , frutta, porta le malattie.
Poi le bombe, eravamo vicini a Nagasaki e Hiroshima, abbiamo sopportato le bombe degli alleati e ogni giorno rischiavamo la vita. Non solo, la mattina si faceva la conta dei prigionieri e poi cidicevano “appena vinciamo la guerra vi tagliamo la gola”, si puo’ immaginare il terrore di una bambina…Come potevo sapere chi vinceva la guerra? Nessuno di noi lo sapeva.
Mangiavo le formiche perché avevo fame. Mio padre ad un certo punto mi disse :“basta mangiare formiche perché c’è l’acido formico”ma avevo talmente fame... Se c’era un topo che passava, poveretto, veniva subito preso, cotto e mangiato, tutto quello che c’era si mangiava. Certe volte, ero una bambina e non mi vedevano, passavo attraverso i fili e andavo a lavorare dai contadini che mi davano una patata o un uovo che portavo subito al campo. Si divideva in cinque.
Quindi quella è stata un’esperienza per me terribile, dolorosissima, da cui sono uscita, che ha lasciato segni.
Poi ci sono altre cose come cambiare cultura, io mi sentivo giapponese, vestivo giapponese, per me la mia lingua era giapponese. Cambiare e diventare italiana non è stato facile, mi hanno aiutato i libri, per me sono stati molto importanti.
Qual è il ruolo della letteratura oggi?
Io sono d’accordo che c’è una preponderanza di letteratura commerciale, troppi libri stampati, molti vanno al macero. La lettura è formativa, forma il “muscolo” dell’intelligenza e dell’immaginazione, ci vuole soprattutto in questo momento di crisi, di frammentazione, di incertezza, di nebulosità delle idee, un impegno civile che non vuol dire dare delle certezze assolute ma fare delle domande, e non significa dare delle risposte.
La scrittura è una cosa complessa che va sempre arricchita, si legge anche in maniera tecnologica, la letteratura sveglia l’immaginazione e noi abbiamo bisogno di immaginazione non basta sapere più cose ma anche cercare di svegliare i sensi, la scrittura narrativa aiuta a svegliare i sensi.
Oggi è ospite nell’Università di Teramo, una casa a Pescasseroli . Come nasce questo rapporto con la nostra regione?
Io cercavo un luogo tranquillo, che non fosse come Roma dove abito.
Cercavo un posto tranquillo, dove ritirarmi per scrivere in pace ,un posto che intorno a Roma non trovavo. Ettore Scola e sua moglie Gigliola, molto amici miei, avevano una casa a Pescasseroli mi hanno detto vieni a vedere, è un posto tranquillo: 1200 metri in mezzo ai boschi, poi c’è il Parco.
Io sono andata e sono rimasta incantata da questo posto bellissimo , così prima ho affittato una casa per diversi e anni, poi c’era una casa che si vendeva a buon prezzo e ho pensato di acquistarla.
La montagna non è casuale, io vengo da una famiglia in cui la montagna era importante, mio padre era uno scalatore, è andato ai cinquemila metri in Tibet, lui adorava la montagna, era uno sciatore provetto, è andato con Tucci in Tibet, ha scalato le montagne, questa passione per la montagna l’ho eredita.
La scelta dell’Abruzzo è stata casuale, nel senso che mi sono innamorata di questo bellissimo luogo, ma la montagna mi accompagna fin da quando ero piccola, mio padre era toscano,quindi la sua era la montagna della Toscana. Io ho molto letto gli scrittori dell’Abruzzo, credo che per conoscere una regione bisogna leggere gli scrittori, anche quando viaggio faccio così, non leggo le guide, leggo gli scrittori. Io amo molto Silone anche se è stato accusato di cose non vere, lo amo più di D’annunzio, anche se in Abruzzo tutto è legato a D’Annunzio. Amo anche Flaiano. Amo Abruzzo aspro, serio, quello più profondo. L’Abruzzo ha una certa profondità che a me piace molto, amo molto i boschi, qualche volta gli abruzzesihanno poco amore per se stessi, non si amano abbastanza, si avviliscono. Accettano le cose.
Oggi lei ci ha regalato “parole piene” e non “parole vuote”. Che cos’è per lei la parola?
Il modo di mettersi in rapporto con gli altri, quindi è fondamentale la parola…
Anna Brandiferro