Davide Ruffini è nato a Giulianova e insegna Italiano, Storia e Geografia .
Mi piace incontrare i colleghi di Lettere , condividiamo sempreesperienze e consigli per i nostri alunni…
Come ha scoperto la passione per la scrittura?
Scrivo da parecchi anni e non ricordo come ci sono arrivato, probabilmente leggendo qualcosa che mi aveva colpito, diciamo provando a replicare (con scarsissimi risultati). Forse il tutto nasce dalla mia vera passione che è quella per i libri, per la letteratura.
Più in generale, mi sembra che la scrittura sia un’attività che permette di rimandare, di non doversi impegnare, nei limiti del possibile, a vivere a fondo ogni evento nel momento in cui accade – tanto sai che ti toccherà ripassarci. In sostanza, è un’ottima maniera di fuggire (dalla gente, dalla cosiddetta realtà, dalla vita regolare). È anche un buon modo per svuotarsi. Quando la misura è colma, che si sta lì lì per strabordare, la scrittura aiuta a rovesciare il bicchiere. Per me ha a che fare con la voglia di riportare le cose a zero. Non ha a che fare con il ricordare e il fissare. Tutt’altro.
Tutti assenti è il primo romanzo. Come nasce?
L’idea di scrivere Tutti assenti (Mesogea edizioni ndr) mi venne intorno al 2017. Avevo un po’ di materiale che si andava accumulando, poi accadde che ascoltaiil racconto di un conoscente su alcune strane irregolarità burocratiche che succedevano a scuola fino agli anni ottanta in alcuni paesi periferici del centro-sud.Questa storia, che è al centro di Tutti assenti, mi colpì moltissimo perché mi ricordava Le anime morte di Gogol. Ci scrissi immediatamente un lungo racconto, attorno a cui successivamente si composero gli altri tasselli, in parte già scritti e rielaborati, in parte inventati ex novo.
Quanto di autobiografico c’è nel romanzo?
Non credo molto nel genere autobiografico. Sotto la penna (almeno la mia) fatti e persone si deformano a tal punto che il ritratto o il racconto più veritiero assomigliano a un quadro di Picasso.Penso funzioni molto meglio il termine inglese che se non erro è “auto fiction” (con tutto che nel mio libro la fiction sia preponderante). A rileggere alcune pagine di Tutti assentimi pare più che altro di ascoltarmi parlare, perché è presente soprattutto la mia maniera di raccontare e di ragionare ad alta voce, di guardare le persone e le storie che si raccontano. È presente soprattutto la lingua che parlo (un po’ gergale, un po’ – ironicamente – letteraria). Di veramente autobiografico, per ciò che concerne la trama in sé e per sé, ci sono il mio strascicamento di fronte alle prime esperienze scolastiche ela passione per un tipo di umanità minoritaria, marginale.
Professore, quali “dritte” dà ai suoi alunni per scrivere bene?
Provoa non essere troppo repressivocon il loro modo di esprimersi e do pochissime regole in base alla tipologia testuale. Voglio che la scrittura non sia vista come una corsa a ostacoli, ma come una camminata, che uno prende e cammina. C’è tempo per pensare a migliorare la postura, la velocità, l’andamento ecc. Mi piace proporre testi letterari che non siano troppo lontani dal loro mondo: l’importante è che capiscano che leggere e scrivere possono rappresentare un piacere. Di solito scriviamo tanto e preferibilmente in classe. La dritta che do sempre, dal primo giorno,anche del tutto sganciata dalla scrittura, è di pulire lo sguardo. Bisogna cercare di guardare oltre il pannello dell’abitudine, perché spesso accade che uno dica di non avere niente da scrivere, ma ancora più spesso ciò vuol dire che non ha guardato bene. Consiglio anche di rileggersi a bassa voce a fine scrittura come aggrappandosi al filo del labiale e togliere ciò che stona, che non si capisce, che assomiglia a un rospo che ci saltella in bocca (ché poi anche un rospo che ci saltella in bocca può essere estremamente interessante, io non l’ho mai visto, ma può darsi che non abbia guardato bene).
Un bravo scrittore è anche un bravo lettore?
Per comodità mi verrebbe da dire di sì, ma in realtà non saprei, non credo ci sia un regola. Gli artisti sono persone un po’ strane che spesso non sanno nemmeno bene loro come o perché riescano a fare certe cose. Ci sono autori che mentre scrivono hanno delle biblioteche infinite alle spalle (penso così, avolo, a Borges, a Vila-Matas, a Joyce o per restare nell’Italia dei nostri giorni a Giuseppe Montesano che parla di lettori selvaggi), mentre ci sono altri scrittori che hanno librerie con poche decine di volumi, magari solo smozzicati qua e là. Ad ogni modo, non vorrei nemmeno ridurla ad una questione di grandi o piccoli numeri. La lettura è soprattutto un fatto di qualità e si può essere bravi lettori anche di un solo libro. In Tutti assenti parlo dei pastori (semi)analfabeti che recitano a memoria la Divina Commedia per tenersi compagnia… Che questi non sono “lettori” di qualità? Insomma, la situazione è abbastanza complessa. Per quanto riguarda la mia esperienza credo che la lettura e la scrittura camminino abbastanza affiancate, almeno finora.
Quali autori sono stati importanti nella sua formazione?
Mi verrebbe da rispondere che sono stati importanti tutti gli scrittori buoni che mi è capitato di incontrare. Da tutti ho provato a prendere qualcosa, ma raramente credo mi sia riuscito (d’altronde lo diceva anche Totò che copiare è un’arte difficilissima). La formazione, poi, credo non finisca mai. Ci sono stati scrittori fondamentali a vent’anni e altri a venticinque e via discorrendo. Per ridurre il campo e facilitarmi la risposta, posso dire che negli ultimi due-tre anni sono stati importanti scrittori come Enrique Vila-Matas e FlannO’Brien. Tra gli italiani Edoardo Albinati, Andrea Piva, Giampaolo Rugarli.
Quali consigli possiamo dare a qualche alunno con la passione per la scrittura?
Al massimo si possono consigliare dei libri o dei film o degli attori comici da seguire a teatro. Per il resto, un talento va di solito lasciato perdere (in tutti i sensi).