Giuseppe (Pino) Pisicchio è un politico, giornalista, saggista. Professore di Diritto Pubblico Comparato nell’Università degli Studi Internazionali di Roma.
Gli abbiamo rivolto alcune domande per conoscerlo “da vicino”.
Giornalista, saggista, autore di numerosi libri, il suo Codice Etico dei Deputati è stato adottato nel 2016 alla Camera. Una soddisfazione?
Se il fine della politica, che trova nell’esercizio della rappresentanza il suo momento più alto, è quello di incidere nella realtà modificandola in modo utile per il popolo sovrano, allora ogni intervento che si muova in quella direzione, che aiuti a migliorare la vita di ogni giorno, ma anche le istituzioni, le relazioni tra i governanti e i governati, almeno per un poco, diventa un risultato positivo. L’adozione del Codice Etico dei Deputati rappresentò un momento importante per il Parlamento italiano che, accogliendo il principio dell’autoregolazione e dell’adesione ad un canone deontologico, si è posto all’avanguardia tra le democrazie europee. Ma il “soft law”, la cosiddetta “legge morbida” perché non presenta le caratteristiche di sanzionabilità tipiche della giurisdizione ordinaria e si affida a tribunali interni), che oggi rappresenta nel mondo democratico un criterio diffuso di normazione, funziona se riesce a rafforzare la consapevolezza della sua platea della necessità di comportamenti etici. Insomma: punta molto sul rafforzamento della responsabilità dei singoli attori. Bisogna, in altre parole, tenere costantemente viva la sensibilità di chi dichiara di accettare quei codici etici garantendo un costante monitoraggio dei comportamenti da parte della pubblica opinione. Il risultato che raggiungemmo nel 2016 è stato importante anche perché riuscimmo a far approvare, con il codice etico, anche la prima regolamentazione del lobbying in un ramo del Parlamento italiano. Fu un bel risultato, non c’è che dire…
Ha affidato alla casa editrice Passigli "Il collezionista di santini" un giallo politico. Come ha conciliato il giallo e la politica?
La politica ha sicuramente dei risvolti gialli, polar, noir, insomma si presta a fare da canovaccio di una narrazione con vittime e carnefici. Almeno la politica che Lei, professoressa, scriverebbe in maiuscolo. Perché la politichetta in minuscolo, quella che nutre i talk show urlati, quella che deborda ogni sera da qualche angolo agitato dello schermo televisivo come una zanzara fastidiosa, quella che fa a botte con i congiuntivi, francamente è una roba poco narrabile: una noia mortale. Allora per renderla un poco appealing abbiamo dovuto agghindarla e romanzarla. Del resto c’è una bella tradizione di romanzo parlamentare in Italia, che risale addirittura ai tempi dell’unità d’Italia e prosegue nei primi decenni del novecento, fino all’avvento del fascismo. Autori come la Serao e De Roberto si misurarono con successo con i primi gialli parlamentari dove i personaggi ricorrenti erano dei Bel Ami all’italiana, provinciali che giungevano a Roma per fare i parlamentari e si davano alla bella vita. In fondo ho fatto un’operazione di scavo letterario, adeguando la narrazione al tempo odierno. Si dice che ognuno scriva di cose che sa meglio e di contesti che hanno emozionato il suo vissuto: ho trent’anni di storia parlamentare e credo di conoscere un poco il “Palazzo”, oltre le oleografie più o meno fantasiose che lo circondano. Pare che il risultato sia piaciuto al pubblico e alla critica: il libro è vincitore di un importante premio letterario, promosso da Ius arte-libri “Il ponte della legalità”, per l’anno 2020.
Chi è il collezionista i santini?
La narrazione è disseminata di simboli. Si tratta di maschere che rappresentano tipologie ricorrenti nella politica contemporanea. Alcuni entrano in scena col proprio nome e cognome (ma non sono né assassini né vittime e non compiono atti disdicevoli: evitiamo querele). Altri sono personaggi verosimili che magari somigliano a qualcuno ma hanno nomi di fantasia. Altri- i più efferati- sono personaggi estremi che appartengono all’immaginario da incubo che ognuno di noi si porta dietro pensando alla politica come al luogo della distopia. Questi ultimi non dovrebbero avere nessun riscontro nella realtà. Ma non si sa mai... il collezionista di santini è uno di questi simboli. Già la propensione al collezionismo ha in sé qualcosa di blandamente (ma non sempre così blando) maniacale: c’è il desiderio di controllo (che è insano) attraverso il possesso di tutto ciò che riguarda quell’oggetto da collezione. Collezionare “santini”, che sono quei manifestini elettorali, con fotine improbabili di candidati in posa, simbolo elettorale, nome e slogan casereccio, che una volta (ora sempre meno) servivano a fare propaganda, è un’attitudine che avevo immaginato del tutto fuori dall’usuale. Mi sono dovuto ricredere: ho scoperto che esiste un fiorente mercato di collezionisti di santini elettorali. Il web ha reso possibili le più affascinanti espressioni di originalità compresse...
Professore, la scrittura che ruolo ha nella sua vita?
La scrittura è una dimensione fondamentale della mia vita che accompagna i diversi “mestieri” che ho amato ed amo. La politica, sicuramente, il giornalismo, la ricerca scientifica. Scrivo due/tre editoriali alla settimana per alcune testate nazionali e pubblico un libro all’anno, alternando accademia a saggistica politica e a narrativa. Quest’anno è uscito per i tipi della CEDAM un lavoro che raccoglie gli esiti di una mia ricerca sulla Costituzione di Singapore, che mi ha portato ad approfondire la dottrina confuciana e i suoi effetti sulla politica e le istituzioni dell’Estremo Oriente. Ho in lavorazione un libro-rivolto soprattutto alle giovani generazioni- che spieghi che cos’è la politica e come veramente funziona.
Ricordo ancora l’emozione del mio primo libro nella vetrina di un libraio: era una raccolta di poesie che pubblicai a ventitrè anni. Quell’emozione si è ripetuta più di sessanta volte. E ogni volta è come allora.