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Screenshot_2023-03-08_alle_08.34.14.pngFrancesco Galiffa ha pubblicato “ Eravamo contadine (Arsenio Edizioni), storie di 25 donne figlie di mezzadri e di piccoli proprietari della Val Vibrata. Racconti di vita , di fatiche, di sacrifici , di lavoro in campagna e in casa. Leggendo queste storie si riscopre il sapore antico , nonostante si sudasse con fatica si lavorava contenti e si cantava “perché c’era il rispetto tra le persone e perché tuttii giovani stavano in compagnia”. 

 

Professore ha dedicato il suo libro “Eravamo contadine” a 25 donne contadinePerché ha deciso di dare voce a queste donne?

Ho cominciato a maturare l’idea dopo aver intervistato, per scopi didattici prima e per altre mie ricerche poi, tanti contadini e tante contadine che, con i loro ricordi, mi hanno dato l’opportunità di conoscere molti aspetti dei lavori e della vita della gente di campagna e in particolare di quella delle donne, il cui ruolo è stato spesso sottovalutato e ritenuto marginale rispetto a quello degli uomini. Ho pensato, allora, che fosse giunto il momento di dare la parola alle contadine per farci raccontare le loro storie in senso lato. Ho voluto renderle protagoniste e non soggetti passivi del loro mondo; meritavano questo risarcimento per le loro fatiche, per le loro competenze, per i loro saperi e per la loro saggezza.

 

Il suo libro non è solo una storia collettiva, una storia di famiglie, una storia economica, ma racconta anche la discriminazione delle bambine a scuola.

Le bambine non sempre frequentavano fino alla terza, anno in cui si rilasciava il primo diploma; qualcuna a scuola non ci è mai andata ed erano rarissime quelle che arrivavano a conseguire il diploma di quinta. La causa principale e più comune dell’abbandonoera la necessità delle famiglie di avere, sin dalla tenera età, l’aiuto dei figli nella cura degli animali e della casa. Auna bambina che amava tanto andare a scuola, il padre rispose: «Qui si deve lavorare, alla scuola non ci pensare più.» Di continuare gli studi dopo la quinta proprio non se ne parlava perché le ragazze avrebbero dovuto andare a studiare fuori e i genitori non disponevano de mezzi economici necessari per mantenerle in collegio; la sorte toccò anche ad una ragazza molto brava; la maestra la riteneva proprio adatta a seguire la sua professione e prospettò al padre l’idea di farle continuare gli studi, ma egli, quasi scandalizzato, seccamente le rispose: «Per l’amore di Dio!»  Lo stesso trattamento, però, non era riservato ai maschietti, ai quali toccava la precedenza nel proseguimento degli studi, anche se erano degli sfaticati, perché dovevano andare a fare il soldato.  La prima e forse più grande discriminazione che penalizzava le donne.

 

Come ha organizzato la sua ricerca e come ha strutturato il materiale raccolto?

Al momento di metterci mano, ho riflettuto attentamente sull’orizzonte dell’indagine e alla fine ho ritenuto opportuno che la cosa migliore fosse uno studio a 360° che contemplasse le tappe della loro vita, il loro contributo nella coltivazione dei campi e nella cura degli animali, le loro competenze in cucina e nello svolgimento di altri lavori e anche i pochi momenti ludici della loro gioventù. Mi sono prefisso di intervistare esclusivamente donne nate entro il 1932 perché solo queste potevano fornirmi informazioni utili per ricostruire la situazione sociale delle famiglie contadine nel periodo prebellico, la guerra e soprattutto i mutamenti in campo economico che si verificarono ad iniziare dagli anni Sessanta e che ebbero una grande ripercussione soprattutto sul mondo rurale. Perché i risultati dell’indagine potessero avere la valenza di una storia collettiva era necessario, però, che fosse coinvolto un congruo numero di informatrici. Ho pensato anche di circoscriverla all’area della Val Vibrata, un ambito territoriale limitato ma che presenta caratteristiche culturali diversificate per questione di orografia e per il rapporto con i territori confinanti, in particolare con la parte marchigiana della Valle del Tronto. Inizialmente avevo pensato di intervistare dieci donne, ma nel corso della ricerca sono arrivato a sentirne venticinque, delle quali solo una abita fuori zona, seppur in un’area confinante con la Val Vibrata; la sua storia mi è sembrata particolarmente interessante. Fissati i termini del progetto, nei primissimi giorni del 2017 ho elaborato una dettagliata serie di domande da rivolgere alle donne durante l’intervista e subito dopo è partita la ricerca dei soggetti da interpellare. L’operazione non è stata semplicissima perché trovare donne di quell’età con una buona memoria non è cosa di tutti i giorni; mi hanno aiutato a farlo tanti amici sparsi per i comuni vibratiani. Le prime interviste sono state effettuate il 20 febbraio del 2017 e l’ultima il 23 aprile del 2018; alla fine ho avuto a disposizione oltre cinquanta ore di registrazioni.

 

Il suo libro “è un omaggio alle donne”?

Certamente, in particolare alle contadine del passato ed alle giovani imprenditrici che coraggiosamente hanno intrapreso un’attività legata all’agricoltura, o che si accingono a farlo, con l’augurio che possano avere la forza d’animo e la costanza di quelle che le hanno precedute. Nelle loro mani sono riposte le nostre tradizioni gastronomiche.

 

Un capitolo interessante è dedicato alla cucina, sia di tutti i giorni che di quelli festivi. Condivide con noi qualche curiosità?

Ce ne sono tante. Mi limito a citare l’uso di due prodotti che per la nostra alimentazione sono marginali o quasi. Il valore di una fetta di pane accompagnata da tantissimi prodotti, sempre aziendali, o semplicemente unte. Mi ha colpito il ricordo di una donna, la quale racconta che quando non c’era niente da mettere sopra la fetta, la insaporivano con una strusciata de lulardezzitte, un pezzo di pancetta infilato nello spiedo e scaldato sul fuoco per far in modo che il grasso si sciogliesse. Cito anche l’abbinamento con tre fichi secchi, il pranzo del contadino che andava a potare gli ulivi e non tornava a casa perché le giornate erano corte. Che dire poi della sorpresa di apprendere della presenza di questo frutto nei piatti salati; compariva, insieme all’uva passa, in una zuppa di ceci e tra i fritti della Vigilia di Natale.

 

ANNA BRANDIFERRO

 

 

Francesco Galiffasiè laureato in Lettere Moderne presso l’Università agli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti. È stato docente di materie letterarie nella Scuola secondaria.  Le sue principali pubblicazioni sono: Le tradizioni gastronomiche nella ricorrenza di San Martino, L’Asso di Coppe: la Fontana Pubblica di Corropoli Dentro la pentola la capra gongola, Nel regno dei legumi, Il ragazzo che parlava con gli uccelli, Ha collaborato per molti anni con le riviste locali “Colonnella frammenti” e “Val Vibrata Life”; sulle pagine di quest’ultima ha pubblicato, in sedici puntate, una ricerca sul ciclo del grano.