Ho dialogato con Luigi Leonardi, imprenditore campano che 20 anni fa denunciò i suoi estorsori quando iniziarono a chiedere il pizzo alla sua attività di illuminazione. Ci siamo dati subito del tu, mi ha anche affidato un messaggio per i giovani che considera energia assoluta “Conto su di voi e vi abbraccio” .
Perché hai deciso di scrivere il libro “La paura non perdona. Una vita sotto scorta tra Stato e Camorra” ?
Premessa: è stato un libro molto doloroso perché ripercorrere tutto quello che ho vissuto sulla mia pelle, non è stato facile. Ho impiegato un anno per scriverlo, questa sofferenza si è protratta per un anno, è stato molto doloroso.
Ho deciso di farlo perché ha avuto una funzione terapeutica, ho affidato tutto quello che ho passato a tutti i cittadini che potrebbero essere coinvolti in queste situazioni , purtroppo le mafie riguardano tutti e non solo chi le subisce.
Mi sono “voluto liberare” e soprattutto rendere partecipi, tutti quelli che leggono il mio libro, al mio dolore.
Si può resistere in “piedi tra le rovine e ricostruire una vita dalle ceneri di quella precedente”?
Tutto è proporzionato al valore che diamo alla vita. Farla finita come soluzione in realtà è una fuga da tutto e ho sempre pensato che i vigliacchi fuggono, stare in piedi dare una nuova connotazione a tutto quello che è successo ti aiuta a essere un uomo nuovo, più forte e con nuove prospettive.
Una “nuova ripartenza”, il fallimento che sia causa tua o di qualcun altro (come nel mio caso) si può leggere come l’opportunità di una nuova ripartenza, mai come un fallimento.
Come si vive sotto scorta e che cosa ti manca della vita precedente?
Sotto scorta si sopravvive, e diventa un accompagnamento quotidiano per quelli che in realtà non corrono pericoli.
Sotto scorta si sopravvive, non me ne vogliano le persone che mi sono vicine e che mi tutelano, ma è la più grossa limitazione personale che possa esistere, non posso più fare niente. Quello che mi manca, tornando alla tua domanda, è la quotidianità di una persona normale, mi manca il mio spazio, il mio negozio, la mia azienda, le mie file in banca, il traffico, ascoltare musica.
Mi manca la normalità, fare l’imprenditore nel mio territorio. Questo mi manca.
Chi era Luigi Leonardi “ prima”?
La mia vita precedente era quella di un giovane l’imprenditore, ho sentito da subito il desiderio di fare l’imprenditore, l’ho sentito dentro. Imprenditori si nasce, ai ragazzi dico sempre di ascoltare la voce interiore, e assicuro che non sbaglieranno mai.
Ho sentito da subito di voler fare quella strada, di non abbassare la testa alle mafie come è successo a mio nonno e a mio padre, perché purtroppo questa storia del pizzo dura da quasi 150 anni.
La mia giornata era questa: passare al negozio, andare in banca, dal commercialista, andavo a pranzo, mi occupavo dei fornitori.
Una vita normale, frenetica, rischiosa, ma come dicono i ragazzi “bisogna sempre stare sul pezzo”, bisogna sempre mettersi in gioco.
Rifaresti tutto?
Rifarei tutto quello che ho fatto tranne una cosa: non pagherei mai nessuno. Mi sono reso conto che pagare, il primo pagamento al clan di Nola, è stato l’inizio della fine. Se potessi tornare indietro non pagherei nessuno anche a rischio di farmi ammazzare.
Doveva andare esattamene così e vado avanti, sono quasi venti anni che combatto, che sono impegnato nelle aule di tribunali, accompagno imprenditori a denunciare, vado nelle scuole.
Il nuovo senso della mia vita è questo: andiamo avanti e mai mollare!
Dal tuo libro è nato un monologo “Una vita sotto scorta” che proponi ai ragazzi nelle scuole. Quale messaggio vuoi trasmettere ai giovani?
Ho scelto la teatralità ma in realtà non l’ho scelta mi è capitata ma…nulla succede per caso, come tutte le cose nella mia vita, nulla è per caso. “Ho unito i puntini” come diceva Steve Jobs ed è nato il monologo, ho scoperto che il teatro “azzera” la distanza tra chi racconta e i ragazzi. Quello che cerco di fare con i ragazzi è responsabilizzarli e fargli capire che ognuno in questa guerra contro le mafie deve avere il suo ruolo: non drogarsi, non consumare droghe leggere, non percorrere strade sbagliate. Le strade sbagliate ti mandano o in carcere o ti fanno morire, ognuno di noi deve fare la sua piccola parte. Ho cercato di dare il punto di vista di una persona che le mafie le ha subite ma ha deciso di combatterle con gli strumenti che la società gli mette a disposizione.
Come sono i rapporti con la tua famiglia?
Questo è un aspetto doloroso perché quando ho deciso di denunciare mia madre, i miei fratelli e mio padre mi hanno lasciato solo. Mia madre quando dissi che andavo a denunciare tutti , per paura sicuramente, mi disse “non ti rivolgiamo mai più la parola” e sono stati di parola. Con la mia famiglia non mi sono visto e sentito per 14 anni, è stata una piaga dolorosissima. Per dare i soldi ho patito sia la fame che la solitudine. Ti dico, che la fame e la solitudine sono due insegnanti di vita straordinari.
Dopo 14 anni ho sentito il bisogno di richiamarli, adesso i rapporti sono discreti ma mi sono reso conto che anche nei rapporti familiari un vaso rotto è un vaso rotto e tutto quello che ci mettevo prima adesso non ce lo posso mettere più . Ho imparato a stare solo con me stesso , credimi, quando stai bene con te stesso non ti manca nulla.
ANNA BRANDIFERRO