Secondo incontro del progetto “Teramo sul Contemporaneo”, sabato 25 maggio nella Biblioteca Delfico, con la scrittrice Maria Grazia Calandrone. Il progetto “Teramo sul Contemporaneo” è promosso da FidapaBMW(Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) in collaborazione con la Biblioteca “M. Delfico”. All’incontro hanno partecipato: l’ideatrice del progetto la docente Chiara Materazzo, la presidentessa dell’associazione FidapaNarcisa De Vincentis, il sindaco Gianguido D’Alberto, la presidentealle Pari Opportunità della Provincia AmelideFrancia, il responsabile della Biblioteca Dimitri Bosi. Abbiamo dialogato con Maria Grazia Calandrone per conoscere il suo libro “Dove non mi hai portata”(ed. Einaudi), la storia di un uomo e una donna che nel 1965, dopo aver abbandonato la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. Quella bambina era Maria Grazia Calandrone che decide di scoprire la verità e torna nei luoghi in cui la madre ha vissuto.
In due libri raccontala sua storia “Splendi come vita” e “Dove non mi hai portata”. Che funzione ha la scrittura per lei, è terapeutica?
Ha una funzione di conoscenza. Sicuramente la conoscenza, se proprio vogliamo dirlo, è terapeutica nel senso che è sempre meglio sapere le cose che non saperle, approfondirle che non approfondirle. Quindi sì, per via traversa, ha una funzione terapeutica perché insegna a conoscere la realtà.
In “Dove non mi hai portata” è tornata nei luoghi dove sono nati i suoi genitori Lucia e Giuseppe, ha cercato le persone, gli odori, i profumi, ha raccontato un pezzo di storiadell’Italia. Che cosa è rimasto in lei dopo questa ricerca?
Tutto, nel senso che tutto quello che ho imparato scrivendo, come dicevo prima la scrittura come conoscenza, fa parte della mia vita adesso. Fa parte della mia vita la cultura di quell’epoca, l’ingiustizia di quell’epoca che va combattuta e dobbiamo stare attenti che non ritorni di nuovo attuale. Anche la dignità di queste due figure che hanno scelto la morte,era meglio che vivere da clandestini, ricercati dalla polizia per la semplice colpa di essersi amati. Rimane anche la coscienza di quello che significava per gli italiani essere dei migranti interni,la possibilità di lasciarci coincidere con i migranti attuali.Noi eravamo quelli che andavamo nelle città del nord a cercare una vita migliore, così come vengono oggi nel nostro paese a cercare una vita migliore, illudendosi di trovarla. Però anche noi ci illudevamo di trovarla tante volte
Sua madre Lucia “aveva la seconda elementare, ma era libera. Perché aveva cuore”.
Sì, è proprio cosi. Cuore di sentimento,quello che scrivo nel libro quell’intelligenza amorosa l’intelletto d’amore dantesco, la capacità di intendere le cose attraverso la lente del sentimento. Non voglio dire frasi definitive ma il sentimento,comunque normalmente, ti guida verso la giustizia. Anche se poi è contraddetto da quello che è scritto nel libro perché il sentimento del padre lo guidava verso l’ingiustizia, voglio pensare che quello del padre non fosse un sentimento,fosse una convenzionesovrapposta al suo sentimento paterno nei confronti della figlia.
A pagina 171 scrive “Vengo con te dove non mi hai portata:nella morte. Scendo a conoscere cos’hai sentito”.
Si, per quanto possibile da vivi. Ho cercato di accompagnarla ovunque questa madre, ho cercato di conoscerla. Mi è sembrato giusto che quel poco che ha vissuto fosse scandagliato all’estremo. Non sono scesa sotto il fiume Tevere, ma ho studiato tutto il possibile per poterla accompagnare.
Nella quarta di copertina il libro è definito “intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo”. Che ne pensa?
Emozionante e lucidissimo non lo so, però sicuramente è la storia privata di Lucia che ho deciso di rendere pubblica perché riguarda il nostro paese, la nostra cultura, il nostro futuro, riguarda il nostro presente. Quindi senz’altro è diventata, per quello che si può diffondere un libro, una storia conosciutacredo e spero che sia utile. Le dico, che girando nelle scuole in Italia, ragazzine di altre culture, mi hanno detto che sono condannate a sposare un uomo che non conoscono . La storia di Lucia vale anche per loro. Mi fa piacere che il sacrificio di questa donna serva a qualcosa.
ANNA BRANDIFERRO